Kirghizistan, dove lo spazio ed il tempo non hanno confini

di admin

Vuoi vedere il video con tutte le foto più belle del Tour del Kirghizistan? Eccolo diviso in tre parti:

Parte 1 di 3

Parte 2 di 3

Parte 3 di 3

 

Esattamente un anno fa mi imbattevo in un travel blog per me nuovo, mai letto prima; l’impaginazione non mi faceva impazzire e neanche la scelta dell’autore di mettere le foto di ogni viaggio in una sezione diversa dal testo. Però…le destinazioni toccate da quella persona avevano qualcosa di particolare: erano “strane”, insolite e poco battute dal turismo di massa. Ho cliccato sulla bandiera di una delle nazioni che più mi colpivano e, quando si è aperta la pagina, volevo quasi richiudere tutto immediatamente e lasciar perdere data la lunghezza del racconto. Troppo tardi in quella serata per mettermi a leggere tutta quella solfa…ma qualcosa ha detto di iniziare lo stesso e vedere poi l’evolversi della situazione. Così ho fatto. Non solo ho terminato l’intero post, ma nel giro di tre giorni l’ho riletto almeno cinque volte per quanto mi era piaciuto. E’ stato da lì che ho iniziato a cullare il sogno di andare in quelle magiche terre piene di montagne ed è proprio così, per puro caso, che è nata l’idea di visitare il Kirghizistan a modo mio, fai da te, senza tour operators pronti a scandire le mie giornate, senza nessuno che mi dicesse cosa fare e come farlo; una totale libertà di spaziare in lungo ed in largo in un paese fuori dagli schemi per quella che considero la mia “tesi di laurea” nel campo dei viaggi. Se sono qui a raccontare ciò che è successo significa che sono tornato a casa sano e salvo, che è andato tutto secondo i piani e che l’esame è stato ampiamente superato. Ma attenzione: non è stata una cosa facile, anzi, tuttaltro. Prima di cliccare sul tasto “prenota” della compagnia aerea ci ho pensato per settimane, nonostante avessi già pronto il mio personale programma da tanto tempo. Col senno di poi confermo che non è affatto come andare in un resort delle Maldive. E’ ben altra cosa. Ma alla fine quel mouse l’ho premuto e la banca mi ha addebitato il dovuto, per cui non mancava altro che affinare gli ultimi dettagli e partire.

Nel titolo di questo resoconto ho scritto Kirghizistan “all’italiana”, altrimenti nessuno lo troverebbe cercando su Google, ma a me piace chiamare questa nazione con il suo nome internazionale: Kyrgyzstan; ben diverso dal buffo “Kirzicchistan” che sento pronunciare e che vedo scrivere da tutti i miei connazionali. Si tratta di una paese situato nel cuore dell’Asia Centrale, parte di mondo a me totalmente sconosciuta fino ad ora. Dal 1991 è una repubblica indipendente ed ha acquisito questo status dopo il crollo dell’Unione Sovietica della quale faceva parte. Il suo territorio è coperto da montagne per il 75% e la sua popolazione non parla una parola di inglese o quasi. Tutto è scritto in caratteri cirillici e ciò complica non poco l’organizzazione di qualsiasi cosa se non si è almeno avvezzi alla lettura di questo tipo di alfabeto. Personalmente non parlo russo, anche se mi piacerebbe molto impararlo, ma durante i miei viaggi in certi paesi dell’Europa dell’Est ho iniziato ad interpretare quelle lettere in maniera sempre più spedita; per questo motivo, anche se mi reputo comunque isolato dal resto della popolazione locale a causa di quella lingua incomprensibile, non parto proprio dall’ultimissimo stadio. Lascio da parte le solite domande di parenti e colleghi sul “perchè vai in quel postaccio anzichè farti una vacanza in Grecia” o cose del genere, ma quest’anno alla irrefrenabile voglia di scoprire si unisce la mia condizione di “single”; la verità è che al mare mi annoio tantissimo senza una compagnia e le giornate non mi passano mai. Per cui prendo la palla al balzo e dò il via a questa vacanza.

La partenza è da Roma Fiumicino in serata, intorno alle 19:30. Non esistono voli diretti dall’Italia per Bishkek, capitale del Kirghizistan: ci si arriva solo ed esclusivamente con uno scalo ad Istanbul e le compagnie aeree che ci vanno sono solo due. In fase di prenotazione mi sono fiondato subito sul sito della Pegasus che solitamente è la più economica, ma stavolta il prezzo migliore l’ho avuto dalla Turkish Airlines. Incredibile ma vero, mi sono accaparrato i servizi di questo vettore considerato tra i primi tre al mondo. Per la prima volta, al banco del check-in non deposito una valigia rigida, bensì uno zaino da trekking con capienza 90 litri e comprato per l’occasione. Non l’ho pagato poco: nel caso in cui l’esperienza mi fosse piaciuta, l’avrei ripetuta anno dopo anno in paesi diversi e sarebbe diventato un buon investimento; in caso contrario lo avrei sempre potuto rivendere sui siti di settore. L’imbarco avviene puntuale, salvo poi tardare circa un quarto d’ora in partenza causa la solita coda di velivoli in attesa sulla pista del principale scalo romano, un problema che proprio non si vuole riuscire a risolvere in nessun modo. Per me è un guaio, dato che la coincidenza nella capitale turca prevede solo un’ora e quindici minuti di attesa. Perdere anche poco tempo potrebbe risultare fatale. Ma non si è una compagnia pluri-premiata per caso, e la Turkish fa il suo dovere recuperando in volo. All’aeroporto Ataturk poi, in piena notte, capiscono la situazione e ci fanno andare direttamente ai rispettivi gates senza effettuare un secondo controllo bagagli, prassi secondo me di un’idiozia totale ma che continua a perseverare. Credo ne basti uno in partenza e che non ne sia necessario uno ad ogni scalo toccato, ma vaglielo a far capire a quei sapientoni che comandano. Correndo guadagno così il posto anche sul secondo aereo e mi siedo al finestrino. E’ buio pesto e non posso certo guardare fuori, però colgo l’occasione di avere un “appoggio” per spararmi cinque ore e mezzo di sonno intervallate solo da una pausa sveglia quando sento passare il carrello della cena alle 2:00 di notte. La fastidiosa voce dell’equipaggio mi fa aprire gli occhi in corrispondenza dell’inizio della fase di atterraggio: ci siamo, ormai mancano venti minuti all’inizio di questa avventura. Adesso posso guardare fuori perchè il sole del mattino fa il suo dovere, ma dentro di me resta comunque ben più di un pochino d’ansia. Un conto è pianificare un itinerario seduto davanti al computer di casa ed un’altra cosa è metterlo in pratica esattamente in quel modo, con tappe ed orari da rispettare rigorosamente. La paura di poter avere qualche problema in quello che per me è un altro mondo c’è e non la nascondo. Dopo il controllo passaporti ed il ritiro del borsone esco nell’area arrivi. Mi braccano subito i taxisti sia ufficiali che non. Uno in particolare mi si appiccica addosso e non vuole mollarmi. Gli dico che prima devo cambiare i soldi, così mi accompagna coattivamente ad un chiosco che sembra a lui familiare. Di certo non mi faccio fregare perchè durante il tragitto controllo i tassi di cambio di tutti i botteghini e vedo che non c’è differenza tra l’uno e l’altro. La moneta locale è il “som” ed ufficialmente servirebbero 79,5 som per 1 euro. Ma sarebbe troppo bello essere onesti, dico bene? Per cui qui le valute vengono scambiate a 75 som per 1 euro. Purtroppo ci devo stare; dove avrei cambiato durante il tragitto se entro pochi minuti avrei lasciato la capitale per dirigermi in realtà ben più piccole e meno evolute? Prendo così 500 dei 600 euro che ho con me ed ottengo il controvalore “taroccato” di 37.500 som. Ma il bello non finisce qui: dopo avermi sistemato, vedo l’impiegata fare un altro conto sulla calcolatrice e prendere altro denaro dalla sua cassa. Decido di seguirla con lo sguardo e noto che, in una maniera che più goffa e ridicola non si potrebbe, dà la percentuale al taxista facendo finta di stringergli la mano. Quel tizio si prende 2.750 som (circa 35 euro che sarebbero appartenuti a me in condizioni di cambio normali e non da ladrocinio) solo per avermi portato lì. Dopo aver immagazzinato un altro tassello che mi dimostra che il mondo è uno schifo totale, contratto con l’autista il miglior prezzo per farmi accompagnare alla prima destinazione mantenendo la calma. Purtroppo non conosco il posto ed eccezionalmente devo servirmi di un taxi per questa prima tratta; magari un mezzo alternativo e più economico ci potrebbe essere, ma non so nè quale sia nè dove si trovi. Dopo circa 30 minuti arrivo alla stazione occidentale degli autobus di Bishkek. Pago con una banconota da 1.000 som il tragitto pattuito per 800 som. Quel tizio si comporta come se volesse addirittura la mancia, non contento di aver già messo in atto un furto in piena regola al desk del cambio. Pretendo il resto, prendo il borsone e me ne vado senza neanche salutare. Calcolando i costi della vita del Kirghizistan, il caro signore si è intascato una cifra enorme per non aver fatto un beneamato tubo; resto del parere che questo mondo avrebbe bisogno di essere rimesso in riga con tutte le maniere possibili, anche quelle più drastiche. Invece si va sempre in direzione dello sfacelo più totale. Decido di non pensarci più e mi butto nella bolgia dell’autostazione: ci sono minivan bianchi in ogni centimetro quadro davanti ai miei occhi. Capire quale dovrò prendere sarà un’impresa impossibile? Assolutamente no perchè non faccio in tempo a pronunciare la destinazione che mi si buttano addosso in venti. Libero un po’ la fila con un altisonante “NO TAXI, PLEASE” e rimango solo con i conducenti delle “Marshrutka”. Resto lì a guardare il teatrino che mettono in scena perchè quasi si scannano tra loro per avermi a bordo del loro mezzo anzichè su quello di un concorrente. Sto immobile ad aspettare cinque minuti buoni, poi a voce alta dico “HELP!” per far capire loro che mi sarei anche rotto le scatole e che devo decidere cosa fare per arrivare dove devo e per non far offendere nessuno. Alla fine la spunta uno dei tanti e lo seguo; acquisto il ticket alla cassa e salgo sul minivan che parte però solo quando è pieno, senza orari prefissati. Circa trenta minuti di attesa e ci mettiamo tutti in moto per Kochkor, prima tappa del mio tour. Il tragitto iniziale in terra Kirghiza non è dei migliori a causa del meteo: è luglio inoltrato ma ci sono nuvoloni da ogni parte. Per fortuna ci si mette lo spettacolo della natura locale a migliorare la situazione: montagne sempre più belle con lo scorrere dei kilometri e fiumi che diventano sempre più impetuosi col passare del tempo dominano il paesaggio. Il viaggio dura circa tre ore, anche perchè stiamo fermi 40 minuti a metà strada in quello che è un simil-Autogrill locale; personalmente non ho fame dopo che la Turkish Airlines mi ha rimpinzato con 2 pasti ed uno snack, per cui decido di non entrare e di aspettare il gruppo fuori. Finalmente arrivo a Kochkor ed il conducente mi fa scendere. Qui nasce il primo enorme problema di tutto il periodo: occorre necessariamente orientarsi con i propri mezzi perchè in Kirghizistan, tranne rare eccezioni, i nomi delle vie non sono indicati da nessuna parte. Sul foglio della prenotazione della prima Guest House ho tanto di indirizzo preciso…ma dove lo avrei trovato? Memore delle mie esperienze in paesi come la Georgia, apro il portadocumenti e prendo la mappa stampata da casa con le indicazioni visive di come arrivare alla stanza. Ne avrò una per ogni cittadina visitata, proprio per evitare mezze giornate perse a cercare inutilmente. Riesco ad orientarmi anche grazie al ricordo di cosa avevo visto da casa utilizzando il software “Google Street View” ed in una ventina di minuti arrivo. Mi trovo davanti ad un muro di recinzione e ad un cancello chiuso senza campanello. Che faccio? Come “suono” o come avverto che sono qui fuori come un palo? Cerco ancora ma non ci sono modi. Alla fine l’istinto mi fa girare dalla parte opposta e noto un signore che mi guarda incuriosito. Provo a domandargli a gesti come fare per entrare e lui mi fa segno di bussare, nella maniera più semplice e spontanea possibile. Con qualche dubbio dato dal fatto che se in Italia si bussa ad un cancello…difficilmente qualcuno sente…metto in pratica il suggerimento. Tempo dieci secondi ed una persona mi apre. Ringrazio il taciturno ma praticissimo signore intento a non far niente (e sembrava lo stesse facendo pure bene…) ed ottengo la camera, ma non prima di essermi tolto le scarpe ed averle lasciate sulla soglia; in Kirghizistan non si entra mai in casa indossando calzature che prima sono state riempite di polvere e probabilmente fango ed è una saggia scelta. Si tratta di una stanzetta di forse 8 metri quadri, con al suo interno un letto singolo abbastanza scassato ed un mobiletto per appendere i vestiti. Il bagno, da condividere con la stanza accanto, si trova dietro ad un’altra porta. La pulizia sembra ok, ma anche se non lo fosse…non avrei avuto alternative valide. Così mi adatto e, per la prima volta dopo quasi 24 ore di viaggio, mi posso rilassare. Dopo aver fatto una meritata doccia calda mi arriva quella fredda tra capo e collo. In che senso? Tiro fuori il portatile per collegarmi alla wi-fi e vedere una cosa importante; lo accendo e leggo il messaggio “Non-System Disk. Replace it and press any key when done”: il computer è guasto. Le madonne che sono volate neanche si possono contare. Quello strumento, in una nazione nella quale è altamente sconsigliato uscire quando fa buio, sarebbe stato la mia salvezza per non morire di pizzichi e di noia dopo cena per tutte le serate a venire ed ha deciso di farmi questo bello scherzo sin da subito. La cosa più pesante è che quel tipo di errore potrebbe essere risolto aprendo il vano dell’hard disk e controllando che il disco fisso non si sia spostato durante il tragitto. Niente di più semplice…ma qui chi me lo dà o chi me lo vende un cacciavite microscopico per questo particolare tipo di viti? La risposta è semplice: nessuno. Così, col morale un po’ a terra, decido di uscire ad esplorare. Kochkor è una cittadina molto semplice e spartana: oltre alla strada principale (quella dalla quale passano le marshrutka, per capirci) poco altro è asfaltato. Tanta terra e polvere dappertutto. I negozi sono quelli tipici che si trovano in paesi ancora non sviluppati, sia come qualità visiva che come varietà. Entrando però nei markets si trova di tutto e noto che i prezzi sono ottimi. Il primo esempio che guardo è quello della mia amata Coca-Cola: bottiglia da un litro al cambio di 60 centesimi di euro. In Italia con questa cifra difficilmente ci si compra una lattina da 330ml. Lo stesso vale per tutti i generi alimentari. Questo mi aiuta a stare un po’ meglio dopo “la botta” del computer. Vista l’ora decido di mangiare qualcosa e, passeggiando, vedo l’insegna di un ristorante. Entro e la prima cosa che noto è che si tratta di una struttura spartanissima: una stanza con dentro dei tavolini con sopra una tovaglia di plastica e due frigoriferi per le bibite, tra l’altro quasi vuoti. Non so dove altro andare, per cui mi siedo lì. Arriva la cameriera che fortunatamente ha un menu con le foto dei piatti (se non ci fossero state non avrei saputo tradurre i caratteri cirillici in maniera sufficiente), così mi metto a scegliere ciò che mi aggrada. I prezzi sono allucinanti al contrario: mi faccio due conti e vedo che per due piatti più una bevanda non arrivo a 5 euro! Ordino i ravioli (che sembrano tanto i Kinkhali georgiani) e del pollo con verdure alla piastra, il tutto accompagnato da una birra locale gelata. Dieci minuti e vengo servito: porzioni che definire enormi è riduttivo. Sei ravioloni ripieni di manzo + pollo e verdure in quantità. Da questa prima esperienza capisco che in Kirghizistan occorre ordinare un solo piatto per ogni pasto se proprio non si arriva affamatissimi. Quindi, la spesa media per pranzo/cena normali al ristorante si aggira intorno ai 3 euro se non si vuole strafare. Pazzesco. Assaggio il tutto e la qualità è pure buona, per cui mi godo questo momento fino in fondo. Attenzione: in questa nazione non chiedete l’acqua ai pasti perchè nessun locale ce l’ha. Qui, come bevanda di base, si beve solo thè (loro lo chiamano Chai) e ne portano sempre una brocca bollente senza che gli venga chiesto. Ci si deve abituare perchè davvero non esiste alternativa. Esco dal locale e riprendo il giro. Come detto, questa località è caratterizzata da tanta terra e polvere ovunque, vecchie case, tanti negozi scalcinati uno accanto all’altro e ben poco da vedere. Ma qualcosa comunque c’è e mi metto a cercare.

La strada della mia Guest Hose a Kochkor

La strada della mia Guest Hose a Kochkor

In particolar modo arrivo in una zona asfaltata che definirei una piazza dalla forma rettangolare. Qui trovo un piccolo museo attualmente chiuso, un palazzo che sembra essere governativo, le immancabili statue dei personaggi storici locali ed un carro armato in ricordo della seconda guerra mondiale: questo sarà un “must” che caratterizzerà le località per l’intero tour.

Museo di Kochkor

Museo di Kochkor

 

Per non dimenticare quanto siano inutili le guerre...

Per non dimenticare quanto siano inutili le guerre…

Questo che mi accingo a passare qui è il primo giorno della mia vacanza, per cui le scoperte non finiscono mai: mi rendo conto, mappa alla mano, che ciò che viene indicato da “Google Maps” non sempre corrisponde al vero, almeno qui. Vago per un bel po’ in cerca di una moschea. Sono certo al 100% di trovarmi nel centrimetro indicato dal pezzo di carta che ho in mano…ma di moschee non se ne vede neanche l’ombra. Purtroppo in casi come questo occorre soprassedere ed andare avanti. Arrivo sulla “main road” e comincio a percorrerla in lungo ed in largo. Imparo a spese dei miei poveri piedi che il 99% delle città Kirghize è di una lunghezza allucinante. Mi spiego meglio: essendoci esclusivamente case composte dal solo piano terra, lo sviluppo in altezza non esiste. Per questo motivo tutta le gente vive in abitazioni una accanto all’altra e mai una sopra l’altra come i nostri condomini. Questo comporta un’enorme quantità di spazio occupato e, anche in località relativamente piccole come questa nella quale mi trovo, andare da un capo all’altro significa camminare per svariati kilometri. E’ così che decido di fermarmi ad un certo punto e tornare indietro nella speranza di non aver tralasciato nulla. Così facendo mi imbatto nella prima delle statue di Lenin che avrei incontrato durante il mio viaggio.

Il "Lenin" di Kochkor

Il “Lenin” di Kochkor

Avevo letto nella guida specializzata che il Kirghizistan è pressochè l’unico paese che non ha sostituito tutte le statue del periodo sovietico con eroi nazionali come hanno fatto gli altri e questo ne è il primo esempio. Sinceramente mi risulta che ci siano altri monumenti da ammirare, seppur semplici, ma l’imprecisione delle indicazioni non mi permette di trovarli. Decido così di tornare in stanza e riposare in attesa della cena che avrei fatto di lì a poco. Passando a piedi costeggio un parco, o quello che dovrebbe essere tale. Le mura che lo circondano sono in gran parte crollate, l’erba è alta e si vedono in lotananza solo alcuni giochi per bambini e campetti sportivi che stranamente sembrano curati. Una delle regole che avevo letto per evitare problemi con eventuali malviventi locali era quella di stare alla larga dai parchi e così faccio. Non ho interesse ad andare lì dentro. Arrivo alla via della mia Guest House e vedo un gruppo di bambini che giocano in mezzo a tonnellate di polvere. La cosa fantastica è che ridono e sono felici di quel poco che hanno, almeno fino a quando mi avvicino io. A quel punto tutti si fermano, le bocche si spalancano e, dopo qualche secondo di silenzio, arriva un coro di “hello!” a me rivolto. Uno di loro, forse il più piccolo, mi corre incontro e mi si butta letteralmente addosso, sicuro che lo avrei preso e che non lo avrei fatto cadere. Dopo di lui arrivano anche tutti gli altri, straniti di avere davanti questa creatura diversa da loro, con la pelle color latte e vestiti pressochè puliti. Comiciano a darmi il cinque ed a fare a gara a chi lo fà prima degli altri. Io ho solo due mani e devo per forza rispettare dei turni, però alla fine accontento tutti. Nel frattempo quello che ha il vizio di partire da quaranta metri e buttarmisi addosso correndo ripete la prassi altri tre volte…insomma un vero delirio, però simpatico e che spezza un po’ l’andazzo di questo giorno di prima scoperta, ma anche di attesa per ciò che accadrà in quello successivo. Alla fine ci salutiamo tutti educatamente con un coro di “Bye Bye” e riprendo la mia strada. Prima di rientrare nel cancello resto attratto dalle montagne che si vedono all’orizzonte: nonostante la serata cupa e nuvolosa sono fantastiche da così lontano; figuriamoci le sensazioni che avrebbero dato una volta raggiunte.

Le montagne che fanno da sfondo a Kochkor

Le montagne che fanno da sfondo a Kochkor

Rientro nella Guest House e trovo subito una graditissima sorpresa: un esserino peloso di non più di tre mesi di vita mi aspetta sulla soglia della porta iniziando a chiedere coccole che non posso non dargli.

Kirghizo molto esigente chiede coccole...

Kirghizo molto esigente chiede coccole…

Congedo anche il micetto e mi corico sul letto con la sola cosa che ho a disposizione dopo la “morte” temporanea del pc: col tablet connesso alla wi-fi leggo il televideo e mi tengo aggiornato sull’attualità italiana durante la mia assenza. Poi, prima che faccia buio, torno al ristorante del pranzo per l’ultimo pasto della giornata. stavolta prendo solo un piatto + birra e riduco ancora di più la clamorosa spesa del pomeriggio. Sazio come non mai, faccio rientro nel mio giaciglio per oggi e preparo lo zaino affinchè sia pronto per il giorno successivo.

La sveglia per oggi è prevista per le 7:00 poichè la mia colazione è fissata alla 7:30. Qui riporto una nota di colore interessante e particolare: i Kirghizi sono abituati ad alzarsi dal letto molto tardi rispetto a noi europei. Quando ho concordato l’orario per la colazione mi è stato risposto “così presto…?” con gli occhi del mio interlocutore strabuzzanti fuori dalle orbite. Gli ho spiegato che da noi moltissima gente prende già la prima metropolitana delle 5:30 per andare a lavorare e sembrava non volerci credere, però la sua ospitalità gli ha imposto di fare questo sforzo per aiutare il suo ospite. All’orario concordato vengo portato nell’apposita sala. E’ enorme e ci sono solo io. Al centro c’è un tavolo infinito adatto per almeno 24 coperti; le pareti sono tutte addobbate da bellissimi tappeti tranne quella alla mia sinistra: lì c’è un poster gigantesco di una valle locale stupenda che non posso non guardare per lo stupore. Finalmente mi sevono ed inizia da adesso l’ennesima costante del mio tour: uova al tegamino, davvero buone. Non mancheranno mai nei giorni a venire. Formaggio, pomodori, qualche verdura ovviamente da me scartata e marmellata completano il tutto. Quando finisco esco dalla stanza, termino le “procedure” del post-risveglio, pago il dovuto (circa 10 euro per la notte+colzione) ed aspetto. Alle 8:30 puntualissimi mi vengono a prendere un’autista ed una guida prenotati dall’Italia utilizzando il sito “Indy Guide”, realtà che mette in contatto i viaggiatori con gli operatori locali di sei paesi dell’Asia Centrale. Qui ci tengo a fare una precisazione doverosa: in questa nazione esistono delle realtà che fungono da agenzie di viaggi e che propongono qualsiasi tipo di servizio; si va dalle sistemazioni presso privati alle macchine con autista, dai pernottamenti nelle yurte fino a tours davvero completi. In fase di pianificazione del viaggio le ho contattate tutte per ottenere preventivi e ciò che ho ottenuto è stata una lista di richieste che definire esose, totalmente fuori luogo e letteralmente ridicole equivale ad usare dei complimenti. Per ciò che io ho pagato 240 dollari sul sito “Indy Guide” (un giro di due giorni e mezzo con auto+driver) me ne sono visti chiedere da queste “agenzie del turismo di comunità” addirittura 700 di dollari. Esorto quindi chiunque ad avvalersi di tali servizi da ladrocinio, a meno che non desideriate farvi spennare ben bene. La vita in Kirghizistan non costa praticamente niente e non è possibile pagare un tour di questo paese come se si trattasse di un itinerario in Norvegia, per fare un esempio. Detto questo, saluto i proprietari della Guest House e parto. La prima destinazione è quello che viene definito il top dei top: il Lago Song-Kol. Il percorso prevede circa tre ore di macchina, anche se la distanza non giustifica questo tempo di percorrenza. Il primo tratto procede spedito sull’asfalto, ma poi, arrivati ad un bivio, mi rendo conto del motivo del tanto tempo richiesto. Leggo che occorre proseguire a destra e così facciamo: si tratta di ben 50 km tondi tondi di strada completamente sterrata e per di più in salita. Ma è da lì che i panorami iniziano a farsi davvero belli man mano che saliamo fino ai 3000 metri circa della sommità. Ad un certo punto del tragitto ci fermiamo per ammirare il paesaggio e…un lastrone di ghiaccio che sopravvive ancora in pieno luglio senza avere l’intenzione di cedere il passo alle calde temperature di questo periodo.

Ghiaccio...a luglio

Ghiaccio…a luglio

 

L'autista ammira la sua terra

L’autista ammira la sua terra

Riprendiamo il percorso tra un tornante e l’altro che ormai non calcolo più per quanti sono. Ad un certo punto la salita finisce ed in lontananza noto che sotto al cielo c’è un’altra tonalità di blu: è lui, il lago Song-Kol. Ci avviciniamo ancora di più al punto di arrivo, quando la macchina lascia lo sterrato per prendere una strada ancora peggiore, piena di buche, solchi, fiumiciattoli da attraversare e chi più ne ha più ne metta. Infatti, dopo una manovra che definire azzardata è un eufemismo, ci accostiamo da una parte perchè occorre cambiare la ruota forata.

I due kirghizi intenti a rimediare all'imprevisto

I due kirghizi intenti a rimediare all’imprevisto

Quando tutto è di nuovo ok, rimettiamo in moto il veicolo. Qui si inziano a vedere le prime yurte, cioè le antiche case mobili circolari dei pastori nomadi kirghizi. Vengono usate anche oggi, ma in maniera un po’ diversa rispetto al passato. Intanto la dicitura attuale corretta che indica i proprietari delle tende è “semi-nomadi” poichè tutti coloro che da maggio ad ottobre salgono fino quassù per allevare il loro bestiame hanno una casa normale in qualche città dove passano autunno, inverno e gran parte della primavera. Quindi si trovano qui solo temporaneante per la bella stagione. Poi, cosa da non sottovalutare, ognuno di loro ha almeno una yurta dove ospitare i turisti, usanza che temo sia iniziata solo da pochi anni. Oltre a questo posso ammirare i primi branchi di animali lasciati completamente liberi al pascolo: bellissimi cavalli ed enormi mucche la fanno da padroni, ma ci sono anche asinelli, tacchini e galline. Ormai la macchina non viaggia più su un percorso battuto, bensì sull’erba che ricopre tutta questa zona. Più procediamo e più ci sono yurte ed animali. Finalmente arriva l’ultima deviazione e dopo poco l’auto si ferma in uno spiazzo in cui si trovano quattro yurte una accanto all’altra. E’ qui che passerò le mie prossime 20 ore circa. Esco dall’abitacolo e, per prima cosa, faccio conoscenza con la famiglia che mi ospiterà in tutto e per tutto. E’ una coppia abbastanza giovane, stranamente senza bambini; ma è solo un’illusione: parlando con loro scoprirò che hanno una figlia che è rimasta con i nonni nella loro casa di Bishkek. Mi sembrava strano…questi non hanno molto da fare durante il giorno e lo sfornare neonati è l’hobby preferito per passare il tempo. Tornando a noi, cerco di capire il perchè delle quattro tende e non ci metto molto a trovare la ragione: una è la yurta dove dorme la coppia di pastori, la seconda è la yurta “ristorante” dove si consumano tutti i pasti, la terza è la yurta per i turisti e la quarta è la yurta “tuttofare”, dove cioè ci sono attrezzature come la cucina ed il deposito per cibi e beni vari. Tutto molto semplice ma allo stesso tempo organizzatissimo.

La yurta dei pastori e la yurta ristorante

La yurta dei pastori e la yurta ristorante

E’ ora di pranzo, per cui mi viene imposto di sedermi a tavola. Qui si mangia rigorosamente per terra, chi con le gambe incrociate e chi quasi sdraiato. Ovviamente non c’è un menu: la ragazza cucina ciò che vuole e i commensali mangiano e zitti. Filo conduttore di questa vacanza sarà sempre il thè: qui viene servito in modo maniacale, nel senso che non si fà in tempo a finire una tazza che la proprietaria se ne accorge e la riempie nuovamente fino all’orlo. Il pasto è buono (pensavo peggio a dire la verità) e noto che anche l’autista lo apprezza perchè spara un rutto da compiacimento niente male. Sapevo che da queste parti l’educazione non è proprio di casa, però così ha sopreso anche me lasciandomi cinque secondi con gli occhi spalancati per poi riprendermi come se niente fosse accaduto e non fare io brutte figure. Ricordo come se fosse adesso la bontà della marmellata fatta in casa che ho letteralmente divorato in pochi secondi. Alla fine del pranzo giunge il momento di esplorare la zona e non me lo lascio dire due volte. Cavolo, mi trovo a 3.000 metri di altitudine nel cuore del Kirghizistan e dell’Asia Centrale, col leggendario lago Song-Kol a poche decine di metri da me. Incredibile! Osservo cercando di non perdere alcun particolare ed è qui che mi sento davvero un puntino insignificante nel mondo. Intorno a me tutto è magnifico ed un tripudio di colori assalirebbe chiunque: Il verde acceso dell’erba, la moltitudine di fiori presenti, le montagne dietro di me che sono talmente belle da sembrare disegnate dal pennello del miglior pittore ed il blu intenso dello specchio d’aqua che ho di fronte. Non so davvero da dove cominciare, ma decido di andare verso il Song-Kol. Purtroppo la giornata è sì soleggiata, ma un po’ ventosa. Questo elemento increspa la superficie del lago e ne sporca l’acqua che non è limpida come me la aspettavo, ma comunque il colpo d’occhio è fantastico.

Song-Kol (1)

Song-Kol (1)

 

Song-Kol (2)

Song-Kol (2)

Mi siedo sulla riva per un po’ ad osservare ed a pensare; quello è uno dei rari momenti nei quali avrei voluto non essere solo, ma avere accanto “la mia persona speciale” per condividere con lei questa rarità che ho raggiunto. Ma purtroppo la realtà è un’altra e si tira avanti. Dopo un po’ decido di lasciare il lago per fare una lunga passeggiata nella valle in direzione delle montagne, quindi dal lato opposto. Mentre cammino osservo sia ciò che ho vicino (fiori ed animali al pascolo) che ciò che ho lontano e che vorrei raggiungere (montagne “dipinte”).

Verso le montagne - 1

Verso le montagne – 1

 

Una piccola parte dei cavalli liberi di questa valle

Una piccola parte dei cavalli liberi di questa valle

 

Verso le montagne - 2

Verso le montagne – 2

Come credo si sia capito, qui si è davvero fuori dal resto del mondo. Non c’è internet, nè la normale rete telefonica prende…neanche una tacca. All’interno della yurta non ci sono prese di corrente nè attrezzature elettroniche; c’è solo una lampadina che penzola da un filo alimentata con un piccolo pannello solare posto ovviamente all’esterno. Non c’è assolutamente niente da fare a parte camminare, esplorare e pensare. Ne ero consapevole prima di partire e non mi sto facendo mancare nessuna di queste tre cose. Ammetto che una vita così mi ucciderebbe dopo 48 ore, ma per una giornata è un toccasana avere ritmi lentissimi, lunghi periodi di silenzio e di totale relax. Alla fine alle montagne ci arrivo, ma decido di non arrampicarmi fino alla vetta, così cambio strada rispetto all’andata e torno indietro pian piano. Giungo così all’ora di cena e mi ritrovo nella yurta ristorante, per terra, a mangiare ciò che di buono ha preparato la proprietaria dell’accampamento. A stomaco nuovamente pieno, manca solo una cosa per terminare la giornata: un buon sonno. Entro così nella yurta per turisti e capisco che non sarà una nottata facile: vedo tre letti e non uno solo. Significa che dovrò dividere quello spazio risicato con la guida e con l’autista del tour. E’ la primissima volta che mi capita una cosa del genere dopo 38 anni di vita, ma non si finisce mai di imparare, così accetto di buon grado. L’alternativa sarebbe stata quella di obbligare quei due poveretti a dormire in macchina e non me la sarei mai sentita. A proposito del letto, credo sia quello il vero incubo: si tratta di un materasso di non so quale secolo piazzato per terra con sopra un maxi-copertone multistrato per proteggere dal freddo che sta scendendo imperterrito man mano che cala il sole. Chiedo ed ottengo di poter accendere la stufa a legna presente nella tenda. Ebbene si, oggi è il 15 luglio (estate piena) ma sto per dormire con un mega-maglione pesante ed un calorifero funzionante, dato che a queste altitudini l’escursione termica è impressionante. Come immaginavo, la notte non passa mai. Prima di tutto perchè sono dovuto andare a nanna intorno alle 21:45 per mancanza assoluta di alternative utili per passare il tempo; secondo poi…la scomodità di quel giaciglio si fa sentire tantissimo. Alle 6:45 del mattino seguente sono già in piedi dopo aver aperto e richiuso gli occhi almeno cento volte. La schiena grida vendetta causa la scomodità estrema di quel letto rimediato. Faccio capolino fuori dalla yurta e sento che la temperatura è buona. Decido così di fare una passeggiata (l’ultima) nella valle. Arrivo fino al lago e non avrei potuto fare scelta migliore: il vento di ieri è sparito e con lui anche l’increspatura dell’acqua che adesso è limpida come quella delle bottiglie. Questo che ho davanti adesso è il Song-Kol che immaginavo e che avrei voluto vedere; sapevo e speravo che non mi avrebbe fatto andare via senza ammirarlo nella sua reale bellezza.

Song-Kol (3)

Song-Kol (3)

Lo percorro per un po’ seguendo la riva fino a quando sono costretto a tornare indietro causa colazione programmata alle 8:00 in punto. Per il rientro scelgo la via interna e passo in mezzo ad alcuni gruppi di cavalli intenti a scegliere i fili d’erba più pregiati. Ad un certo punto incrocio tre kirghizi seduti ad una decina di metri dal percorso battuto; mi chiamano e, dato che qui l’ospitalità è sacra ed un rifiuto può causare anche gravi arrabbiature, faccio una piccola deviazione e mi avvicino. Quando sono lì capisco la situazione: li vedo intorno ad un bottiglione di vodka e se la stanno gustando già alle 7:30 del mattino. Uno di loro riempie un bicchiere e me lo porge. Mi prende un colpo perchè non so come fare a dire di no, però tiro fuori una faccia tipo gatto rosso del film “Shrek” e gli faccio capire che non bevo alchol. Va di male in peggio perchè mi viene porto un secondo bicchiere, decisamente devastante. Si tratta del Kumys, la bevanda nazionale del Kirghizistan. Non è altro che latte di giumenta fermentato. So per certo che se avessi sorseggiato quel coso sarei andato poi in bagno per giorni nel peggiore dei modi. Stessa espressione di prima e mano sullo stomaco ad indicare alcuni disturbi in atto. Alla fine, dopo un tira e molla che non vede soluzione, uno di loro (quello più sobrio) dice all’amico (quello visibilmente già ubriaco a quell’ora) di non importunare il turista, così finisce tutto con una stretta di mano e con il migliore dei “bye bye” che io abbia mai pronunciato in vita mia. Arrivo al campo delle quattro yurte e mi butto per terra a fare colazione, l’ultimo pasto da consumare con la famiglia che mi ospita. Mangio e bevo thè a volontà. Credo che in questa vacanza io abbia ingurgitato più thè in dieci giorni di quello che bevo normalmente in Italia in un anno intero. Per fortuna che è buono…

Salutiamo la compagnia e ripartiamo verso le mète della giornata odierna. La strada da fare sarà tanta. Prima di tutto occorre uscire dall’area del Song-Kol ed i chilometri di sterrato sono numerosi come all’andata. Ciò che è peggiore è la qualità della strada. Una sosta in un punto panoramico fa capire cosa intendo.

Discesa sterrata, ripida e tortuosissima

Discesa sterrata, ripida e tortuosissima

Purtroppo la difficoltà di percorrenza obbliga la vettura ad una pausa poco dopo la metà di questo percorso. Non capisco perchè inizialmente, ma ci metto poco: scendiamo tutti dalla macchina e l’autista lancia un po’ d’acqua su una delle ruote. Appena il liquido va a contatto con i freni si sente il rumore di una frittura in corso di cottura. L’impianto frenante si è surriscaldato e necessita di raffreddamento per poter continuare a lavorare a dovere. Dopo un trentina di minuti si riparte ed alla fine della discesa arriva un’ulteriore stop, stavolta previsto. Siamo sulla riva di un impetuoso fiume che scorre producendo un rumore forte ma decisamente piacevole. Circa una decina di minuti scarsi di passeggiata e mi trovo di fronte ad una cascata bellissima. Non è molto alta, ma è potente e fragorosa.

Cascata

Cascata

Foto di rito e poi ritorno nell’abitacolo. Altri kilometri percorsi fino al raggiungimento della cittadina di Naryn all’ora di pranzo, con sosta al ristorante. Qui consumo il pasto più economico di tutta la vacanza: un piattone di quello che i locali chiamano Ghoulash composto da pasta, riso e verdura accompagnato da carne e brodo. Il tutto (con litri di thè a fare da supporto, tanto per cambiare) alla modica cifra di 1,30 euro circa. Dopo aver saziato la nostra fame ripartiamo alla volta di una nuova attrazione. L’autista non sa dove si trovi esattamente e deve fermarsi ogni tanto a chiedere ai passanti se la strada che sta percorrendo è giusta (…); finalmente arriviamo al caravanserraglio di Tash Rabat. Si può definire come una specie di Autogrill dell’antichità, un luogo in cui le carovane intente a percorrere la Via della Seta per gli scambi commerciali tra oriente ed occidente si fermavano per riposare e per saziarsi. Pare che da questa fortezza sia passato anche Marco Polo. L’emozione è tantissima già scorgendo quelle mura dalla prima curva che ne permette la visione, figuriamoci una volta arrivato lì. Com’è possibile che quella struttura costruita in questa zona impervia più di mille anni prima sia ancora in piedi ed in queste meravigliose condizioni? Mistero.

Tash Rabat

Tash Rabat – 1

L’ingresso prevede un biglietto del valore di 100 som (1,30 euro al cambio) che pago volentieri. Entro nel corpo del palazzo composto da un corridoio principale dal quale si diramano quelle che sembrano stanze; alla fine si trova una sala più grande di forma quasi circolare. E’ tutto costruito in pietra e la sensazione che si ha stando lì non si può descrivere. La luce filtra da delle piccole aperture praticate sul soffitto, come tante bocchette di camini che però non ci sono.

Tash Rabat - 1

Tash Rabat – 2

 

Tash Rabat - 3

Tash Rabat – 3

Alla fine del tour torno all’esterno per visitare la parte superiore; la valle in cui questa struttura è costruita permette di salire sul tetto del caravanserraglio agevolmente. Qui si ha la visione completa della cupola che sovrasta la sala centrale e, arrivando fino alle varie estremità delle mura, si può godere di viste eccezionali sull’ambiente circostante che, manco a dirlo, sembra dipinto per quanto è perfetto.

"Tetto" di Tash Rabat

“Tetto” di Tash Rabat

 

Valle di Tash Rabat - 1

Valle di Tash Rabat – 1

 

Valle di Tash Rabat - 2

Valle di Tash Rabat – 2

Non senza un po’ di rammarico per ciò che sto lasciando alle  mie spalle, ripartiamo verso un’ulteriore mèta odierna. Dopo aver percorso altri kilometri arriviamo al sito di Koshoy Korgon che troviamo chiuso, ma un intelligente buco praticato nella rete di recinzione ci permette di entrare lo stesso in maniera diciamo poco regolare, ma chi se ne frega. Non c’è nessuno in giro e quell’ingresso “secondario” starà sicuramente lì per un motivo ben preciso; non sono stati certo i castori a farlo. Qui arriva una mezza delusione perchè si tratta solo di sporadici resti delle mura di una fortezza dell’antichità completamente ricoperti da fango e polvere. Faccio tutto il giro del perimetro giusto perchè mi trovo lì e non voglio lasciare nulla di intentato, ma il sito non vale neanche dieci minuti di tempo da dedicargli.

La delusione Koshoy Korgon

La delusione Koshoy Korgon

Ebbene si, il servizio di macchina con autista per oggi sta giungendo al termine. Manca solo l’ultimo tratto che mi riporterà a Naryn, cittadina in cui ho una homestay che mi aspetta per la serata/notte. Ci arrivo passando in mezzo alle solite montagne spettacolari che allietano il tempo; una volta lì, saluto autista e guida ed entro in casa dove ripongo lo zaino. Ma lì dentro ci resto poco: sono le 19:00 e non voglio certo non visitare la località che mi ospita. Se lo facessi non sarei io. Prendo le chiavi ed esco poco dopo. Anche Naryn, come Kochkor, si sviluppa su una sola via principale ed è lunghissima da percorrere. Per arrivare all’ultimo punto di interesse segnato sulla mappa ci metto circa 40 minuti che poi ripercorrerò al ritorno. Però fortunatamente ne vale la pena perchè le cose da vedere non mancano e le elenco direttamente pubblicandone le singole immagini.

Naryn - 1

Naryn – 1

 

Naryn - 2

Naryn – 2

 

Naryn - 3

Naryn – 3

 

Naryn - 4

Naryn – 4

 

Naryn - 5

Naryn – 5

 

Naryn - 6

Naryn – 6

Prima di tornare alla base per passare la serata in santa pace devo pensare alla cena. Una cosa sola echeggia nella mia testa: basta carne! Qui in Kirghizistan mangiano solo quella ed io non ne sono abituato al punto che al terzo giorno già mi ha stomacato. E’ un bel problema se si pensa che di alternative ce ne sono ben poche. Decido di fermarmi al market gestito da chi mi ha dato le chiavi della homestay, così sono sicuro che parla inglese. Compro cose per un pasto a metà tra il leggero e lo sfizioso: uno yogurt alla fragola, un po’ di pane, una coca cola da un litro, un succo di frutta ed una tavoletta di cioccolato aromatizzata anch’essa alla fragola. Il tutto per circa 3,50 euro al cambio. Soddisfatto rientro in camera e mi metto a leggere il solito televideo, unica cosa da fare mentre il mio pc portatile non vuole saperne di ripartire.

Il quarto giorno inizia di nuovo abbastanza presto. Colazione alle 7:30 per poi ripartire tra le 8:00 e le 8:30 per l’ultima mattina in compagnia della guida e delll’autista. Il servizio infatti terminerà circa a mezzogiorno di oggi, poi proseguirò da solo come piace a me. Il trasferimento verso Tamga, la mèta dove mi fermerò oggi, dura circa quattro ore e mi permette per la prima volta di ammirare il grandissimo Yssyk-Kul. Si tratta del secondo lago di montagna più esteso al mondo dopo il Titicaca in Perù. Nonostante si trovi ubicato in un contesto che in iverno vede la temperatura scendere di molto sotto lo zero, la sua superficie non gela mai perchè sotto è “riscaldato naturalmente”. A parte le note tecniche, quello che davvero conta è che si tratta di uno spettacolo vero e proprio. Resta un lago, ma la vista che regala è equiparabile a quella del mare. Man mano che mi avvicino a Tamga vedo vere e proprie spiaggette di sabbia finissima bagnate da un’acqua di un colore difficilmente descrivibile. Uno spettacolo ancora maggiore se, voltandomi dalla parte opposta, vedo stagliarsi montagne imponenti. Quando arrivo alla Guest House “Askar & Tamara” scendo dalla macchina, prendo il borsone e stringo la mano a coloro che mi hanno aiutato a vedere zone davvero remote. Quella parte di Kirgizistan non è visitabile con i mezzi pubblici proprio perchè è di difficilissimo accesso (basti pensare che al Song-Kol si arriva praticamente solo nei mesi di luglio ed agosto poichè per il resto dell’anno la strada non è praticabile causa neve e ghiaccio). Qui inizia la seconda parte del mio tour. Sono davvero solo adesso, proprio come volevo. Il cancello della guest house me lo apre una signora, la proprietaria Tamara, che mi fa prendere possesso della camera. Poco dopo esco per chiederle informazioni sia su come raggiungere il lago a piedi nel minor tempo possibile sia, soprattutto, su come raggiungere la mèta del giorno suiccessivo in quanto avrei dovuto prendere il primissimo mezzo disponibile al mattino per rispettare il mio programma. La via per il lago me la indica subito e con precisione, mentre per la seconda risposta che attendo (quella più importante) mi rimanda alla sera, quando rientrerà il marito. L’obiettivo di oggi, oltre a visitare Tamga in serata, è quello di rilassarmi all’Yssyk-Kul per qualche ora in vista dell’impresa che avrei dovuto compiere meno di 24 ore dopo. Col costume addosso e col telo mare in mano mi incammino sulla via indicata e raggiungo la spiaggia.

Lago Yssyk-Kul a Tamga - 1

Lago Yssyk-Kul a Tamga – 1

 

Lago Yssyk-Kul a Tamga - 2

Lago Yssyk-Kul a Tamga – 2

Saremo si e no una ventina di persone e la situazione è davvero ideale. Piazzo il telo e non mi faccio certo pregare: mi dirigo verso l’acqua che è cristallina, tanto da permettere ovunque di vedere il fondo. Sono deciso a fare il bagno in quel lago d’altura, balneabile a differenza del Song-Kol. Appena messo il primo piede dentro l’acqua mi regalo una dovuta pausa: la temperatura percepita non è calda nè tiepida, ma molto fredda. Non me ne importa in fico secco, tanto la colazione l’avevo sicuramente digerita da tempo. Passo dopo passo arrivo con decisione al momento di tuffarmi e lo faccio. Dopo un minuto scarso il corpo si abitua alla temperatura e finalmente posso godere del fatto che sto nuotando in quel luogo meraviglioso. Ma è tutto troppo bello per essere vero e, da dove mi trovo, vedo arrivare in lontananza ciò che in Kirghizistan è quasi d’obbligo: marito, moglie ed almeno 5 ragazzini piccoli. Sembrano nati a cadenza di 10 mesi l’uno dall’altro; neanche il tempo di partorirne uno che la signora era già pronta per ricominciare la prassi col successivo e così via. Dentro di me già so cosa succederà…ed infatti vedo con rammarico che la famiglia “inseminator” si piazza ad un piede dal mio asciugamano. Da lì…la pace finisce. Urla, grida, risate stridule e chi più ne ha più ne metta diventano i protagonisti. I bambini sono maleducati ed il padre lo è più di loro (ovviamente…) perchè tra risate a squarciagola (non si sa bene per cosa perchè al posto suo ci sarebbe da piangere o da suicidarsi) e rutti sparsi qua e là è tutto un programma. L’unica soluzione praticabile sarebbe spostarmi da un’altra parte, ma la riva è tutta occupata e mi toccherebbe piazzarmi in seconda fila, cosa che mi avrebbe tolto buona parte della visuale del lago. Così decido di sopportare. Ma la verità è che da solo al lago o al mare che sia, mi annoio. Ci sto benissimo con qualcuno, ma quando non c’è nessuno con me preferisco camminare per ore ed ore alla scoperta di qualcosa di nuovo. Riesco a reggere per un po’, ma poi decido di riporre tutto e di andare ad esplorare la cittadina che mi ospita. Quindi ripercorro la strada dell’andata al contrario, torno alla guest house, mi cambio mettendomi i pantaloncini al posto del costume ed incontro la signora Tamara con la quale mi intrattengo di nuovo in chiacchiere. Scopro che è una ex insegnante di russo adesso in pensione ed apprezzo la sua gentilezza e la sua dolcezza. Mi propone una mappa fatta da un suo vecchio ospite anni prima che mi aiuterà a raggiungere una delle attrazioni migliori di questo posto: il cimitero kirghizo. Passando con la macchina da Kochkor e da Naryn ne avevo visti altri e mi ero riproposto di fermarmi appena possibile quando sarei stato solo, quindi quale occasione migliore di questa? Studio il percorso e mi metto in cammino.

Mappa per il cimitero di Tamga

Mappa per il cimitero di Tamga

Il percorso sembra lunghissimo su questo foglio, ma in realtà non lo è ed in circa dieci minuti di strada in salita mi trovo sulla collina che ospita i defunti. Questo particolare luogo si differenzia dai cimiteri del resto del mondo per le particolarissime tombe. Tutti quanti si trovano sotto ad un “montarozzo” di terra a forma di collinetta; accanto ad esso è posta la lapide con le solite scritte. Ma è la forma di queste lapidi che rende questo luogo diverso: si va da veri e propri mini-fortini costruiti in pietra a quelli che sono gli scheletri delle yurte passando per sculture con i tratti somatici del defunto oppure per vere e proprie “facciate” anche colorate. Il tutto messo senza un preciso ordine rende questo luogo della memoria davvero unico.

Tomba a forma di scheletro di yurta

Tomba a forma di scheletro di yurta

 

Scultura con i tratti somatici del defunto

Scultura con i tratti somatici del defunto

 

Lapide - 1

Lapide – 1

 

Lapide - 2

Lapide – 2

Mi guardo intorno e sono solo con queste povere anime, ma solo tra i “vivi” su questa collina. Decido di aver visto abbastanza e che è il momento di fare ritorno in paese, così ripercorro la stessa strada dell’andata portandomi via un altro pezzo di ricchezza interiore che non mi abbandonerà mai. La prossima tappa da visitare è l’enorme sanatorio di Tamga, così non mi faccio certo pregare ed entro dall’ingresso principale.

Ingresso del Sanatorio di Tamga

Ingresso del Sanatorio di Tamga

Si tratta di un’ampia struttura completamente attorniata da giardini ed alberi dove è un piacere fare una passeggiata. Ci sono statue e monumenti che ricordano il passato.

Sanatorio di Tamga - 1

Sanatorio di Tamga – 1

 

Sanatorio di Tamga - 2

Sanatorio di Tamga – 2

Poi, una gradita sorpresa: a pochi passi da me, procedendo con la massima cautela, mi imbatto e mi avvicino ad uno scoiattolino rosso intento a mangiare qualcosa. Sicuramente sarà abituato agli umani perchè tutti gli altri visti in passato nel mondo sono sempre scappati in un nano-secondo, mentre lui mi guarda con attenzione ma sembra fidarsi.

Scoiattolino Rosso

Scoiattolino Rosso

Esco dal sanatorio e mi dirigo ad esplorare ciò che resta, cioè le vie di Tamga. A differenza di Kochkor e Naryn, anche se la terra e la polvere dettano legge dappertutto, questo piccolo villaggio è più carino e gradevole dei precedenti: le case sono più curate ed ordinate e l’atmosfera di pace e tranquillità che si respira è davvero un toccasana per chi ha intenzione di rilassarsi. Non c’è molto da vedere, se non un aereo (!?!), il solito monumento in memoria dei caduti delle guerre mondiali ed una piccola moschea che però trovata verso il tramonto viene immortalata all’interno di una foto troppo scura per essere pubblicata.

Un aereo...a Tamga

Un aereo…a Tamga

 

Monumento ai caduti di guerra

Monumento ai caduti di guerra

E’ il momento di rientrare per la cena, ma prima passo dal market di proprietà della guest house che mi ospita per prendere una bottiglia d’acqua, una di coca-cola da un litro ed una birra ghiacciata: per stasera piccolo stravizio rispetto alle mie abitudini. Mi siedo al tavolo alle 20:00 in punto, come pattuito, e vedo che ci sono altri due coperti oltre al mio. Dopo poco arriva una coppia inusuale: si vede che hanno una differenza di età marcata, ma ovviamente non mi azzardo a chiedere. Durante la cena attaccano bottone; scopro che sono madre e figlio provenienti dalla Nuova Zelanda e che sono in giro in Asia Centrale da quattro mesi. Mi spiegano che uscire dal loro paese è molto costoso (effettivamente…) e quindi cercano di fare viaggi lunghissimi e di unire molte nazioni in una sola volta. Anche stasera ci sono ravioli ripieni di carne ed altra carne come secondo. Faccio uno sforzo e mangio, anche perchè il pranzo lo avevo saltato per poter fare il bagno al lago e se avessi lasciato quelle cose non avrei avuto altro fino alla mattina seguente. Adocchio però un piattone stracolmo di cocomero incredibilmente rosso tagliato a dadini. Temo che i due neozelandesi possano prenderne un po’ e prego qualsiasi cosa a casaccio affinchè non succeda. Alla fine della cena, salutano e si alzano. Il cocomero è ancora lì!!! Non me lo faccio dire due volte: sposto tutti gli altri piatti e me lo piazzo davanti come avrebbe fatto Fantozzi col suo frittatone di cipolle. In meno di cinque minuti di quel frutto non c’è più traccia. Mi alzo anch’io e mi dirigo verso la camera quando incrocio di nuovo la signora Tamara. Colgo l’occasione per ripeterle (forse per la ventesima volta) che ho bisogno delle info per poter partire in tempo ormai da li a poche ore. Va a parlare col marito che nel frattempo è rientrato e poi torna. Mi dice di aver chiamato un suo ex allievo che adesso guida una marshrutka e di aver prenotato per me un posto alle 8:00 del mattino (primo mezzo disponibile) in direzione Karakol. Poi mi dà un foglietto scritto in kirghizo da mostrare agli autisti della stazione dei bus di Karakol per far vedere loro che devo arrivare ad Ak-Suu. A me questo non serve perchè non sono certo l’ultimo degli sprovveduti, però lo prendo volentieri e lo conservo gelosamente tra i miei ricordi di viaggio. Ci congediamo dandoci appuntamento per la colazione alle 7:15, anch’essa accompagnata da occhi “pallati” perchè per lei incredibilmente presto.

Il nuovo giorno inizia alle 6:30 con le solite “operazioni di rito” seguite da un primo pasto più che abbondante; la signora Tamara, da buona mamma acquisita, mi dice che ho bisogno di energie per ciò che sto per fare e temo abbia ragione. Alla fine preparo le mie cose e, dato che ci tiene a farlo, mi accompagna fino al minibus. Appena arriva…capisco quanto valgano le prenotazioni in Kirghizistan: vedo gente stipata in ogni centimetro quadro dell’interno di quel mezzo; in parole poverissime…è strapieno. Guardo la proprietaria della Guest House senza fiatare, tanto i miei occhi già dicono tutto. Avevo fatto tanto per poter salire su quella marshrutka ed ora rischio di restare a terra fino almeno alle 9:00. Ma lei parla col suo ex allievo e, come per magia, un posto per me esce fuori. La ringrazio e la saluto di nuovo per l’aiuto, ma quello sarà il peggior spostamento di tutta la mia vacanza. Il tragitto Tamga-Karakol è di circa 90 km. Io ne ho passati almeno 75 in piedi su di un furgoncino che più scassato non si poteva, senza aria condizionata e con gente davanti e dietro che quasi abusava di me per quanto stavamo appiccicati. Un caldo così non lo si patisce neanche a Roma nella metro…e con questo ho detto tutto. Verso la fine del percorso scende un po’ di gente e riesco a sedermi pure io. Arrivo alla stazione centrale degli autobus di Karakol e mi dirigo a cercare la marshrutka n. 350 che mi avrebbe portato fino ad Ak-Suu, a circa 12 km da dove mi trovo attualmente. Trovarla è un gioco da ragazzi, così deposito lo zaino nel bagagliaio, pago l’autista e mi siedo. Circa venti minuti dopo, alle 10:25 del mattino (in perfetto orario per la mia tabella di marcia) scendo al punto convenuto. Davanti a me c’è un cartello che recita così: Altyn-Arashan Valley – 15 km.

L'inizio del percorso

L’inizio del percorso

Qui mi preparo come meglio non potrei mettendo lo zaino sulle spalle e legandolo con ogni chiusura possibile; poi mi piazzo il cappello in testa che mi avrebbe riparato la faccia dal sole e ripongo una bottiglia d’acqua intera nell’apposito spazio del borsone, a portata di mano. Questo è il momento tanto atteso, il mio giorno più lungo, la scommessa fatta con me stesso. Io, che lavoro dalla mattina fino alla sera tutti i giorni seduto su una sedia, dietro ad un tavolino e davanti ad uno schermo, dovrò percorrere 15 km di trekking in salita passando dagli attuali 1.800 metri di altitudine ai 3.000 metri della destinazione finale, per l’appunto la valle di Altyn-Arashan. Una volta partito non avrò scelta perchè in quella zona sperduta in mezzo alle montagne avrò la camera prenotata; ciò significa che posso solo arrivare fino alla fine perchè l’alternativa sarebbe dormire al freddo ed al buio di un sentiero. In vita mia ho fatto solo un trekking prima di questo, in Bulgaria, ai sette laghi di Rila. Ma quello non si avvicinava neanche ai 15 km ed il dislivello da percorrere era di soli 600 metri contri i 1.200 di questo. Guardo l’orologio per l’ultima volta: sono le 10:30 precise. Ho promesso di non riguardare più l’ora fino all’arrivo vero e proprio perchè avrebbe potuto essere un elemento negativo per il mio morale; devo solo camminare e salire a testa bassa come fanno gli animali quando puntano qualcosa. Dentro di me sento che ce la posso fare, così muovo i primi passi. L’ambiente che mi circonda è pazzesco: nessuno nei dintorni, tantissimo verde incontaminato ed il placido rumore di un fiume che mi accompagnerà (crescendo in maniera esponenziale) durante tutta la marcia. So di dover attraversare solo il primo dei ponti che incontrerò, mentre tutti gli altri li dovrò solo guardare andando oltre. Passo dopo passo sento effettivamente il fiume che si ingrossa fino a quando me lo trovo davanti, spettacolare e fragoroso, di una potenza inaudita. Finirci dentro per sbaglio porterebbe ad una brutta fine.

Il mio unico amico per oggi: il fiume

Il mio unico amico per oggi: il fiume

La strada sale, in certi tratti anche tanto. Già dopo poco la fatica si fa sentire, ma devo concentrarmi sui week-ends passati in Europa dell’est, quelli in cui ho camminato anche 20 km al giorno per visitare le città. Certo…non è la stessa cosa, ma sicuramente aiuta. Dopo aver passato quel “famoso” ponte mi metto una mano addosso: non ho più vestiti, ma acqua allo stato puro al loro posto. Il sudore mi si sta letteralmente portando via. Passa il tempo, anche se non so quanto, e comincio a vedere le prime persone che solcano la mia stessa strada. Il fatto è che scendono tutte anzichè salire, ma è normale. Infatti, per vedere qualcuno salire ci sono solo due modi: o qualcuno partito dopo di me mi riprende oppure sono io che riprendo qualcuno partito prima. Sembra incredibile ma succede proprio la seconda ipotesi: circa a metà percorso raggiungo e supero una coppia di asiatici vestiti di tutto punto e con tanto di bacchette di sostegno in entrambe le mani. Questo mi dà ancora più forza per proseguire. Gli “strappi” in salita sono sempre più frequenti ed io sono davvero stanco. Durante quelle ore mi fermo per riposare 4 volte, non più di dieci minuti per ciascuna. Ad un certo punto saluto il fiume: lui prosegue la sua corse in mezzo alle montagne ed io seguo la strada che invece continua a salire. Dopo un bel po’ guardo in basso e lo vedo: è lontanissimo! Con molta fatica supero una serie di tornanti e poi vedo davanti a me uno “strappo” davvero troppo ripido da affrontare. Decido di fare lì quella che sarà la quarta ed ultima sosta. Non so dove sono esattamente, non so quanto manca e soprattutto non so se dopo quella salitona troverò un altopiano o chissà cosa. Mi rimetto poi in moto dopo aver bevuto: la bottiglia è quasi finita. Con tanta tanta forza di volontà affronto quel terribile pezzo e ci metto anche un bel po’ in confronto a tutto il resto: non ho certo fretta e le gambe fanno fatica a reggersi. Ma, arrivato in cima, vedo lei: la valle di Altyn-Arashan. E’ tagliata in due dal mio amico fiume impetuoso, è punteggiata di bianchi pallini (le yurte viste da lontano) e da branchi di animali al pascolo. Adesso ho davanti solo discesa fino al punto di ingresso e la percorro. Quando arrivo sulla “porta” della valle prendo l’orologio e guardo l’ora: sono le 14:30 in punto. Ciò significa che ho impiegato quattro ore tonde tonde mentre sulle guide specializzate si parla di un tempo medio di cinque ore. Ricapitolando, io che sono l’uomo della scrivania, ho superato i 15 km di trekking sulle montagne dell’Asia Centrale in molto meno tempo di quello stimato. La soddisfazione va di pari passo alla fatica: è enorme! Raggiungo quindi il rifugio dove ho la camera prenotata e mi siedo. Ovviamente mi portano del thè bollente, ma stavolta ci vuoe davvero. Passo il resto della giornata, dopo una doccia ristoratrice, nel dolce far niente. Devo riposare perchè al mattino seguente dovrò ripercorrere la stessa strada all’indietro; anche se sarà in discesa…sono sempre altri 15.000 metri di camminata. Mi godo anche quelle che qui chiamano le “hot springs”: una buca nel terreno all’interno di una baita in cui sgorga acqua termale ben calda. Un toccasana per il mio relax.

Hot Spings

Hot Spings

Le vette che ho davanti sono bellissime, così come il fiume che passa vicino al rifugio.

Sembra un quadro, ma non lo è

Sembra un quadro, ma non lo è

 

Altra cartolina naturale

Altra cartolina naturale

Quando il sole inizia a calare porta con se il freddo. Sono a 3.000 metri di altitudine e si sente. Ceno verso le 19:30 con gli altri ospiti del rifugio con i quali parlo durante tutto il pasto. Ci sono svizzeri, francesi ed altri europei, ma nessun italiano. Sono tutte coppie ed io sono l’unico da solo. Questo significa unounica cosa: che donne “del genere”, che non hanno paura di caricarsi uno zaino in spalla, di salire sulle montagne a piedi, di dormire nelle yurte o nelle tende e di fare viaggi fuori dagli schemi ce ne sono eccome; la verità è che non so dove siano. Sicuramente non in Italia, il paese delle grandi firme, dei tacchi a spillo e dei culi di piombo allo stato puro. Purtroppo la mia vergogna di appartenere a questo strambo paese cresce tutti i giorni, soprattuto quando vede cose come queste e mi prende male. Terminata la cena torno in riva al fiume per l’ultimo panorama, poi vado in stanza. Anche qui, come al Song-Kol, essendo in alta montagna non si possono avere pretese: mi trovo in una camerata con sei letti, ma fortunatamente siamo in tre: io e due guide kirghize. Il bagno è un buco nel terreno ben fuori dal rifugio. Ringrazio me stesso per avere sempre la forza di controllare le mie “pulsioni da toilette” perchè se avessi avuto un bisogno durante la notte avrei dovuto uscire vincendo qel freddo pungente. Invece me ne sto ben caldo perchè, anche stavolta, chiedo ed ottengo l’accensione della stufa a metà luglio. Ho un sonno mai provato prima ed alle 22:00 scarse sono già nel mondo dei sogni.

Per chi non ci crede, ecco la stufa che lavora a tutta forza

Per chi non ci crede, ecco la stufa che lavora a tutta forza

Il mattino seguente mi sveglio verso le 7:30, mi preparo e vado a fare colazione con le solite due uova. Pago, ringrazio e saluto lo staff per la giornata trascorsa insieme e riparto per il viaggio di ritorno. Lo porto a termine in 3 ore e 15 minuti; poi, a mezzogiorno circa, passa la marshrutka n. 350 che mi carica e mi riporta alla stazione degli autobus di Karakol. Oggi il programma prevede la visita di questa località, per cui cerco e trovo dopo poco la mia stanza prenotata. Dopo due notti in condivisione giunge l’ora dello “stravizio”: camera doppia tutta per me con bagno privato per la cifra qui astronomica di 15 euro al cambio. Mi tolgo subito lo sfizio con una prima doccia ristoratrice, poi mi cambio ed esco. Karakol è una cittadina abbastanza grande, ma nonostante questo anche qui non mancano stradoni sterrati e pieni di polvere. La strada principale invece è asfaltata, ma è una delle rare vie che godono di tale privilegio. Anche qui ci sono negozi di ogni genere uno accanto all’altro ed un bazar nel quale non mi azzardo ad entrare perchè ho con me tutti i miei soldi, oltre alla reflex ed agli oggetti personali che abbraccio mentre dormo in condivisione…questo per far capire come bisogna essere gelosi delle proprie cose se non si vogliono rischiare spiacevoli inconventienti. Ma non sono queste le cose che mi interessano. Karakol ha ben altro da offrire e chi cerca trova. Mi imbatto subito nel pezzo forte, cioè nella Chiesa Ortodossa Russa. Lo spettacolo è magnifico poichè è tutta costruita in legno; le sue cupole colorate si stagliano e si fondono col blu del clielo limpido di quel momento.

Chiesa Ortodossa Russa

Chiesa Ortodossa Russa

Proseguo la passeggiata e mi imbatto in una bellissima moschea che sembra di recente costruzione.

Moschea nuova

Moschea nuova

Resto invece abbastanza deluso dalla famosa Dungan Mosque. Sinceramente, date le informazioni lette a casa in fase di preparazione del viaggio, mi aspettavo qualcosa di molto meglio.

Dungan Mosque: deludente...

Dungan Mosque: deludente…

Ci sarebbe un’altra moschea, ma dopo diverse prove devo rinunciare a fotografarla perchè racchiusa da delle mura che ne rendono impossibile lo scatto. Passo poi agli edifici civili e trovo la solita statua del periodo sovietico, la statua di un eroe kirghizo ed il museo cittadino.

Statua - 1

Statua – 1

 

Statua - 2

Statua – 2

 

Museo

Museo

Passeggiando trovo anche lo stadio comunale (ci sono dei ragazzi che si stanno allendando ma ovviamente non so chi siano) ed uno strano e bizzarro ingresso di quello che sembra un hotel, un ristorante o qualcosa del genere.

Porta bizzarra...chissà dove porterà...

Porta bizzarra…chissà dove porterà…

Sono circa a metà vacanza, forse qualcosina di più. Sfrutto il fatto di trovarmi in una cittadina piena di negozi per cercare un cacciavite e provare a sistemare il computer portatile. Ne trovo solo uno che potrebbe fare al caso mio dentro ad uno shop di casalinghi. Costa pochi centesimi, così decido di prenderlo. Se non fosse servito lo avrei buttato nell’immondizia. Anche oggi sono senza pranzo per scelta: non ce la faccio proprio a mangiare carne due volte al giorno tutti i giorni. Così decido di andare a cena perchè sono letteralmente affamato. Ci arrivo però tardi, alle 20:15. Calcolando che stare fuori col buio è pericoloso, ho al massimo 45 minuti per fare tutto e rientrare in stanza definitivamente. Ci riesco, ma la strada del ritorno la percorro a passo molto veloce. Purtroppo ne ho lette e sentite davvero troppe e non voglio avere problemi. Una volta all’interno delle “mie” quattro mura di oggi, prendo il pc e provo il nuovo cacciavite: niente da fare. Non c’è modo di agganciare la vite minuscola e farla girare ed uscire da suo alloggiamento. Capisco che è destino che io rimanga senza quel coso per tutto il viaggio, per cui butto via l’oggetto comprato poche ore prima e mi dedico al tablet, unica cosa in mio possesso che si collega ad internet e mi dà modo di passare un pochino di tempo. Verso mezzanotte crollo per la stanchezza.

Il settimo giorno, dopo le grandi scalate, è dedicato alla scoperta di una nuova località ma anche al relax. Mi sveglio alle 7:00 per essere fuori, stavolta senza colazione, alle 7:30. Mi reco alla stazione dei bus corretta e salgo sulla marshrutka che andrà a Cholpon-Ata dopo aver acquistato il ticket alla cassa. Il tragitto dura circa due ore e per larga parte costeggia il lago Yssyk-Kul. Qui però accade un inconveniente: quel testa di pera del conducente mi fa scendere in paese, ma non nel centro come sarebbe logico, bensì alla primissima fermata utile. Voglio definirlo “malinteso”, anche se sembra più un brutto scherzo fatto ad un malcapitato turista che quell’essere non avrebbe sicuramente rivisto più in vita sua. Non mi resta che rimboccarmi le maniche che non ho (fa caldo ed ho una maglietta estiva…) e camminare per circa 4 km fino alla guest house prenotata. Ma i problemi non sono finiti: purtroppo anche qui i nomi delle vie non compaiono quasi da nessuna parte; mentre negli altri villaggi sono sempre riuscito ad orientarmi, qui proprio non ci riesco. Purtroppo non ci sono punti di riferimento sui quali posso contare, così dopo oltre un’ora mostro l’indirizzo ad un abitante del posto che si offre di accompagnarmi a piedi. Finalmente arrivo a destinazione; lo ringrazio dandogli 50 som mentre gli stringo la mano. Me li voleva restituire a tutti i costi ed ho dovuto lottare per farglieli prendere. Voleva solo aiutarmi senza niente in cambio, ma mi sembrava doveroso. La giornata prosegue proprio come era cominciata: la stanza è un vero cesso. Un buchetto di 5 metri quadri con dentro un letto a castello (per fortuna ci avrei dormito da solo), un comodino ed una poltrona. Basta così. Il bagno è esterno alla camera e la pulizia di tutti gli ambienti per la prima volta lascia molto a desiderare. Avrei dovuto passarci solo una notte, per cui mi faccio forza e tiro avanti. Ma non è finita qui: la wifi in stanza prende malissimo (una tacca, se non addirittura mezza). Per potermi connettere devo andare fuori, in quello che i proprietari chiamano “bar”; a dire il vero un frigorifero col vetro trasparente tipico dei locali pubblici c’è…solo che è completamente vuoto. Dopo tutte queste belle notizie decido di mettermi il costume e di andare in spiaggia al lago Yssyk-Kul, proprio come feci a Tamga. Lì ero sulla sponda inferiore ed ora invece mi trovo sulla sponda superiore. Una volta arrivato ho la conferma di quello che avevo letto da casa: a Tamga sembra di stare al mare per i colori e per l’ambiente, mentre qui si vive la vera atmosfera di lago. L’acqua ha un colore verdastro anzichè il blu chiarissimo della precedente esperienza. L’unica cosa in comune è la temperatura molto fredda, ma questo non mi frena un nuovo bagno ristoratore. Dopo di esso, mi stendo sul telo e quasi mi addormento al sole, ovviamente abbracciando la mia borsa con gli effetti personali peggio del malfidato per eccellenza. Resto così per circa tre ore e, come ogni estate, mi ustiono la pelle ben bene. Nei giorni a venire patirò un po’ di pene per questo motivo. Verso le 17:00 decido di andarmi a togliere il costume e di iniziare la visita di Cholpon-Ata e così faccio. Passeggiando mi rendo conto che questa in cui mi trovo è una vera e propria località turistica gettonatissima da russi ed affini: ne vedo davvero tanti di questi soggetti, ben riconoscibili perchè dai tratti somatici molto diversi da quelli kirghizi. Cammina cammina incontro lungo la strada le seguenti attrazioni:

Moschea di recente costruzione

Moschea di recente costruzione

 

Moschea ben più datata

Moschea ben più datata

 

Statua di Lenin

Statua di Lenin

 

Memoriale della seconda guerra mondiale

Memoriale della seconda guerra mondiale

 

Statua

Statua, forse una fontana oggi senz’acqua

Camminando vedo poi qualcosa di strano dietro ad un muro; faccio per avvicinarmi e vengo subito intercettato da una persona che mi blocca. Mi dice che li si trova un’esposizione di statue di sabbia e che l’ingresso costa 200 som (3 euro al cambio). Questo genere di cose mi piacciono moltissimo, per cui accetto ed entro. Mi dice di aspettare sulla soglia giusto il tempo di andare a chiamare la guida, cioè suo fratello. Dopo pochi minuti mi raggiunge un bambino di neanche dieci anni alto un metro ed un tappo; mi guarda fiero e baldanzoso e mi dice (con un pessimo inglese) che lui è la guida e che se voglio possiamo iniziare il giro. La mia bocca non fa uscire una parola, ma sicuramente i miei occhi, che proprio non riesco a controllare in nessun modo, fanno capire che ci sono rimasto basito, però…va bene…andiamo. Il giro dura circa una ventina di minuti. Il bambino parte spedito ad ogni scultura, ma poi la sua tenera età gli fa dimenticare cosa deve dire durante lo svolgimento della frase e lo aiuto io a concludere i discorsi secondo il filo logico che capisco e provo a seguire. Le statue (circa venti) sono veramente belle e degne di nota, come anche lo sforzo del piccolo di voler fare a tutti i costi un lavoro adatto ad un adulto.

Esempio di stuatua di sabbia - 1

Esempio di statua di sabbia – 1

 

Esempio di statua di sabbia - 2

Esempio di statua di sabbia – 2

 

Esempio di statua di sabbia - 3

Esempio di statua di sabbia – 3

Alla fine del giro arriva quello che sembra l’ennesimo parente della famigliola felice. Mi dice che l’esposizione è pronta ma non ancora aperta al pubblico; hanno quindi fatto un’eccezione per me. Gli dico che sono onorato di questo, ma la cosa non finisce qui. Mi tocca farmi filmare dal loro smartphone mentre recito una specie di spot pubblicitario in cui dico chi sono, da dove vengo e che ho davvero apprezzato ciò che ho visto invitando tutti a fare lo stesso. Alla fine ringrazio e saluto per avermi dato la possibilità di vedere una cosa sicuramente inusuale, non solo da queste parti. Concludo poi il mio tour per Cholpon-Ata facendomi fregare bene bene. Arrivo al “Ruh Ordo Cultural Center”, l’ultima cosa che mi rimane da vedere qui prima di cena. Muovo i primi passi all’interno e comincio a capire che si tratta di un museo, cioè di una trovata per spillare soldi ai turisti. Però quello che vedo ed il colpo d’occhio che mi trovo di fronte mi piacciono…così accetto di pagare 400 som (circa 5,50 euro) per l’ingresso. L’intera esposizione alla fine non è niente di che; si, magari è particolare, ma niente di speciale. Le statue di sabbia sono state molto più originali di questo, per cui meglio non pubblicare alcuna foto. Trovo poi un localino carino per mangiare dopo aver saltato nuovamente il pranzo. Stavolta, dopo un po’ di ciofeche bevute, chiedo al gestore di consigliarmi una birra davvero buona. Arriva al tavolo con una bottiglia mai vista prima; la giro e leggo che ha 11 gradi di alchol. Per me è tantissimo, calcolando che sono astemio al 99,99% e che le nostre birre hanno tutte o quasi circa 4-5 gradi di alchol. Ormai ce l’ho lì davati ed è stappata. Non posso più restituirla, così ci pasteggio. Pago il conto ed inizio a tornare verso la guest house con la testa che mi gira come una mongolfiera. Credo anche di non aver avuto un passo del tutto dritto e lineare, ma fortunatamente questo nessuno me lo fa notare. Finalmente arriva un miraggio pù che reale: un market aperto. Mi ci fiondo ed acquisto la mia solita bottiglia di coca-cola da un litro + un succo di frutta alla mela. Ovviamente mi scolo la bibita gasata per prima perchè è l’unica cosa al mondo in grado di farmi passare gli effetti della birra fatale. E così è. Dopo non molto tempo torno totalmente in me, per fortuna. Alla fine non ce la faccio a stare in stanza senza far niente, così decido di andare nella “stanza-bar” della guest house per collegarmi ad internet col tablet e restare aggiornato su ciò che sta accadendo in Italia, cioè il solito schifo di sempre. Appena il sonno mi chiama, vado a nanna provando a guardare il meno possibile quella camera.

Oggi la sveglia è alle 6:30 e la colazione prevista per le 7:00 è puntuale. Esco in cortile e mi viene subito incontro una meravigliosa gattina siamese a pelo lungo (con una coda più bella di qualsiasi “pennacchio” mai visto in vita mia) vogliosa di tutte le coccole del mondo, che ovviamente le vengono concesse. Fatto ciò, mi metto a tavola e noto con piacere che le uova nel piatto sono tre; due forse erano troppo poche? O magari mi hanno visto deperito…vai a sapere. Completo anche questo pasto, prendo il borsone, saluto e mi dirigo verso l’ultima autostazione di questo mio tour. Appena arrivo mi braccano subito almeno in dieci: già sanno dove devo andare. Ma non è perchè sono dei geni: tutti coloro che si trovano a Cholpon-Ata hanno come destinazione Bishkek, la capitale del Kirghizistan. Il primo taxista mi spara 700 som per il viaggio; gli faccio segno che è matto sbattendo le dita sulla fronte e, come per magia, la sua richiesta cala a 400 som (quasi la metà…). Gli chiedo di indicarmi la macchina con la quale saremmo andati e vedo che non è un taxi ufficiale, bensì la sua vettura personale. Ho letto storie strane su chi sale in auto con macchine non ufficiali, gente che è stata portata in un luogo appartato e derubata di tutto. Memore di questo non accetto e vado verso la marshrutka in partenza da li a cinque minuti; con soli 280 som (neanche quattro euro)  arriverò al 100% sano e salvo in città. La strada, dopo tanti sterrati, buche di ogni dimensione e chi più ne ha più ne metta, è quasi tutta perfettamente asfaltata. In tre ore precise scendo dal minibus e percorro a piedi i circa 2,5 km che mi separano dalla guest house. Arrivo abbastanza facilmente e qui recepisco un’altra cantonata, stavolta abbastanza pesante. Noto con dispiacere che il sito sul quale avevo trovato e prenotato quella sistemazione “non era stato del tutto preciso” o meglio…aveva riportato una serie di notizie false. Quella che avrebbe dovuto essere una stanza privata per due notti con bagno anch’esso privato si è rivelata essere il salotto della famiglia che abita la casa nel quale viene aperto un divano letto, col bagno in comune sempre con i proprietari. Per carità, non sto dicendo niente di male a riguardo. E’ solo che per quelle ultime quarantotto ore avrei gradito un tipo di servizio diverso, proprio come avevo scelto da casa. La famiglia che mi ospita si rivela (e si confermerà per tutta la permanenza) molto simpatica, educata e cortese e per coloro che cercano una soluzione di questo tipo mi sento di consigliarla in pieno. Ormai sono qui e devo fare di necessità virtù. Sistemo le mie cose in maniera strategica per iniziare il tour odierno. Altre letture precedenti mettono in guardia su alcuni rischi che i turisti possono correre girando da soli per la capitale del Kirghizistan: ci sono persone che, spacciandosi per poliziotti in borghese, fanno di tutto per “accompagnarti” in un luogo isolato con la scusa di controllare i documenti e poi lì mettono in pratica il loro obiettivo: il furto di tutto ciò che il povero malcapitato ha con se. Io non sono proprio nato ieri ed un po’ di esperienza me la sono fatta, per cui porto con me solo la reflex (non posso documentare una città senza la mia fedele compagna di viaggio), il passaporto (non si può girare senza documenti, altrimenti avrei evitato anche questo), il telefonino scassato per necessità ed urgenze e l’equivalente di tredici euro in contanti. Lascio quindi tutto in stanza: soldi rimanenti, tablet, portafogli con le carte bancomat/credito ecc ecc; tra me e me penso che, se proprio dovesse succedere di beccare questi maledetti, almeno sarebbero rimasti con un pugno di mosche in mano. Con la massima allerta possibile e con gli occhi che gurdano a destra ed a manca ogni secondo, inizio la mia passeggiata sotto un sole bello caldo. In meno di dieci minuti sono già dove inizia la zona centrale ed il primo obiettivo è la Chiesa Ortodossa: davvero molto bella; peccato che sia “riparata” da troppi alberi e che la foto più decente che si possa fare è questa che segue.

Chiesa Ortodossa

Chiesa Ortodossa

Garantisco che vedere questo edificio religioso sul posto con i propri occhi è tutta un’altra cosa, anche se la cattedrale di Karakol tutta in legno, a mio parere non la batte nessuno. A questo punto mi sposto per raggiungere “Chuy”, che è la strada principale che taglia in due la capitale; qui si svolge il 90% della vita cittadina e ci sono altrettante attrazioni da ammirare. La facilità con la quale mi oriento è disarmante: in meno di tre minuti mi trovo dove avrei voluto essere, dopo aver superato lo Spartak Stadium (che purtroppo non permette alcuna visuale del suo interno) ed una delle tante statue dedicate all’eroe nazionale Manas.

Statua dedicata a Manas

Statua dedicata a Manas

Mi rendo conto di essere più o meno a metà della grande arteria, per cui devo necessariamente scegliere se andare prima verso destra e poi tornare indietro o viceversa. Opto per la prima soluzione fino a quando mi imbatto in uno slargo. Da una parte vedo il palazzo del municipio e dall’altra una grande piazza interamente pedonale.

Municipio di Bishkek

Municipio di Bishkek

Durante l’esplorazione della piazza trovo ogni genere di cosa racchiusa nel suo perimetro:

Bellissima fontana con dietro il Palazzo della Filarmonica

Bellissima fontana con dietro il Palazzo della Filarmonica

 

Occhiali da sole giganti fatti in cemento

Occhiali da sole giganti fatti in cemento

 

Altra bella e particolare fontana

Altra bella e particolare fontana

 

Un monumento assai strano...

Un monumento assai strano…

Il tutto si vede passando in mezzo ad aiuole colmedi fiori; magari non proprio curate alla perfezione, ma sempre piacevoli da attraversare. Infine, ciliegina sulla torta, un gruppo di cinque bambini che non hanno più di dieci anni a testa sta facendo il bagno all’interno di un piccolo complesso di fontane in una parte laterale senza che ci siano adulti/genitori a controllarli. Lascio la piazza e mi dirigo dalla parte opposta di Chuy, quella maggiormente ricca di monumenti e palazzi. La zona sicuramente più famosa della capitale è Piazza Ala-Too. Appena vi arrivo ne noto subito la vastità, oltre a ricordare nei minimi dettagli le foto viste a casa in fase di preparazione del viaggio; ora sono lì, a due centimetri da tutto. La piazza è tagliata in due dal vialone che l’attraversa. Da una parte un’enorme statua di Manas si trova poco sotto ad una enorme bandiera e, alle sue palle, si ha il Museo nazionale di storia.

Bandiera del Kirghizistan cullata dal vento

Bandiera del Kirghizistan cullata dal vento

 

Statua di Manas e Museo Nazionale di Storia

Statua di Manas e Museo Nazionale di Storia

Dall’altra parte è un totale tripudio di fontane

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Completano questa parte di Bishkek due enormi palazzi simmetrici davvero molto particolari.

Uno dei due palazzi che ornano Piazza Ala-Too

Uno dei due palazzi che ornano Piazza Ala-Too

Proseguo quindi il mio giro seguendo il corso di Chuy e deviando in traverse studiate a tavolino. Mi imbatto in altre fontane particolari, in un paio di altre belle piazze con al centro statue degne di nota, decorazioni floreali originali e due moschee.

Fontana con alle spalle una torre con l'orologio

Fontana con alle spalle una torre con l’orologio

 

Giochi d'acqua e sculture bizzarre in pieno centro

Giochi d’acqua e sculture bizzarre in pieno centro

 

Decorazioni con i fiori

Decorazioni con i fiori

 

Piazza con statua di miti locali - 1

Piazza con statua di miti locali – 1

 

Piazza

Piazza con statua di miti locali – 2

 

Simpatica Fontana

Simpatica Fontana

 

Moschea - 1

Moschea – 1

 

Moschea - 2

Moschea – 2

Giunge così l’ora di riposare un po’ le gambe. Il grosso, o meglio…tutto o quasi l’ho visto tranne il Bazar Osh, luogo in cui pare si annidino quei loschi figuri che si spacciano per poliziotti in borghese. Sinceramente di vedere un bazar pieno zeppo di bancarelle non mi interessa ed allo stesso tempo evito una gran parte del rischio di essere derubato. Dopo aver fatto un bel giro all’interno di un centro commerciale a quattro piani e non aver trovato nulla di interessante (udite udite: il piano terra è dedicato solo alle covers ed agli accessori per cellulari. Uno spreco in piena regola), torno in Piazza Ala-Too e mi godo un po’ della vita della città, vedo come i suoi abitanti passano il tempo libero ed ormai non mi stupisco più vedendo i bambini giocare dentro alle fontane. La cosa buona è che qui i genitori ci sono e li controllano. Giunge così l’ora di rientrare in stanza e, fortuna delle fortune, passando di fronte allo Spartak Stadium noto che di li a poco sarebbe iniziata una partita di calcio, proprio come accadde a Korce in Albania neanche venti giorni prima. La voglia di acquistare un biglietto e vivere quella realtà è fortissima, ma l’incontro sarebbe sicuramente finito dopo il calare del sole e la regola del “non uscire di casa col buio” vale ancora. A malincuore desisto e me ne vado. Per consolarmi cerco un market e prendo qualcosa di leggero da mangiare e tantissime cose da bere: coca-cola ghiacciata e succo di frutta come se non ci fosse un domani. dopo pochi minuti mi trovo nel salotto della famiglia che mi ospita e colgo l’occasione meritatissima per riposarmi. Senza computer funzionante non mi resta altro da fare che aggiornarmi legendo il televideo sul tablet e poco altro. Vado a dormire abbastanza presto, anche perchè l’indomani mi aspetta un’altra ammazzata.

La sveglia suona alle 5:00 per quello che è il mio ultimo vero giorno in Kirghizistan. Il tempo vola davvero più di quello che si crede; mi sembra di essere partito solo ieri ed invece sono alla frutta. Ma perchè mi alzo così presto? Perchè il programma prevede di prendere un volo interno di andata e ritorno per un “day travel” nella seconda città più grande di questa nazione:  Osh. Non potevo andarmene via senza aver toccato con mano quella che sembra essere tutta un’altra realtà posizionata proprio al confine con l’Uzbekistan e con la popolazione a stra-grande maggioranza musulmana. Molti kilometri separano le due città (Bishkek ed Osh), tanto che sembra non ci siano marhrutka che coprono la tratta, bensì solo taxi condivisi e proprio l’aereo. Alle 6:00 mi trovo al Manas International Airport (dove tutto è cominciato) e sostituisco la mia prenotazione con la carta di imbarco della “famosissima” copagnia Air Manas, mai sentita prima. Pare sia la filiale kirghiza della Pegasus, per cui mi sono fidato. Il volo dura un’oretta nella quale, vista la levataccia, dormo come un sasso. All’atterraggio, trattandosi di una tratta nazionale, non ci sono controlli e l’uscita è agevole. Subito orde di taxisti mi si buttano addosso, ma la mia intenzione è quella di arrivare in centro col minibus pubblico n. 107 che dovrebbe essere parcheggiato li vicino. Un taxista però insiste: dopo essere partito da 800 som scende fino a 200; meno di tre euro per un passaggio comodo comodo mi allettano, per cui accetto. Mi chiede dove ho l’hotel per accompagnarmi li; gli spiego che mi trovo in città solo di passaggio e gli propongo di portarmi in un punto caratteristico dal quale poi avrei iniziato l’esplorazione grazie alle mappe stampate da casa. Questo tizio, da buon fregarolo, mi lascia nel punto più vicino possibile all’aeroporto: il bazar. Comprendo i gusti di tutti e li rispetto, però non riesco a capire che cosa ci possa essere di bello e attraente in un luogo come questo. E’ stracolmo di bancarelle luride poste una appiccicata all’altra, quasi tutto ciò che è in vendita come vestiario è palesemente usato, le norme igieniche sono totalmente ignorate (è uno scempio vedere delle stupende forme di pane lasciate esposte a due passi dalla strada sterrata dove macchine, furgoncini e camions alzano quintali di polvere e sporcizia). Sarà che io e lo shopping siamo due cose diverse, ma preferisco sorvolare alla grande e cambiare zona. Camminando mi rendo conto che Osh ha un’estensione inimmaginabile: da dove mi trovo adesso fino alla zona del teatro, dello stadio e della statua di Lenin ci sono almeno tre kilometri da percorrere, così mi armo di pazienza e metto in moto i piedi. Una nota di colore: oggi è l’ultimo giorno di tour e lo sguardo va sui miei “poveri” scarponcini; praticamente non ci sono più, nel senso che si trovano sotto ad una coltre di terra accumulata passo dopo passo. Come ho detto all’inizio del racconto, qui in Kirghizistan non si può entrare nelle case e nei luoghi chiusi con le scarpe e questo preclude la possibilità di pulirle a meno che non lo si faccia all’esterno. Questa operazione ho potuto (ed ho dovuto…) farla solo una volta, esattamente una settimana prima sul Song-Kol, mezzo dentro e mezzo fuori dalla yurta nella quale avrei dormito. Ho usato le salviettine imbevute ed ho fatto un lavoro egregio…ma dopo sette giorni esatti la situazione è capitolata di nuovo. Poco importa perchè i locali sono meno puliti di me ed i pochi turisti che incontro hanno il mio stesso problema, quindi nessuno noterà niente. Mi rendo conto che questa città è molto verde e piena di parchi pubblici e ciò la rende tranquilla e vivibile. Finalmente arrivo a destinazione e posso ammirare ciò che sto cercando. Lo stadio, come sempre da queste parti, non è fotografabile perchè l’accesso è interdetto; ma tutto il resto invece è “libero”, per cui metto in funzione la reflex ed imortalo tutto il possibile.

Teatro di Osh

Teatro di Osh

 

Municipio di Osh

Municipio di Osh

 

Statua di Lenin

Statua di Lenin

Questa statua appena pubblicata si trova proprio di fronte al municipio e quindi davanti ad una enorme bandiera nazionale. Osservando la faccia e la posizione dell’ex statista sovietico…sembra quasi voler dire qualcosa come “datemi quella bandiera e vi faccio vedere io come la uso…” o qualcosa di sicuramente molto simile. Pare una specie di punizione che le autorità locali hanno deciso a suo tempo di dare a questo personaggio. Mi trovo nel punto più lontano della città in cui ho segnato cose da vedere, per cui non mi resta altro che ripercorrere i miei passi. Prima però mi imbatto in un monumento non segnalato e lo fotgrafo.

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Ma chi mi conosce sa che per me passare due volte per una stessa strada è una perdita di tempo, per cui studio al volo un’alternativa per vedere qualcosa di nuovo e per raggiungere lo stesso l’attrazione più famosa di tutta Osh: il complesso del Sulayman-Too. Con questo nome si indica una vera e propria montagna che Osh letteralmente abbraccia, in quanto vi si estende tutta intorno. La caratteristica principale è la sua strana conformazione: sembra che sia stata quasi costruita di proposito con cinque punte, o per meglio dire cinque vette, che la fanno somigliare ad una stella…più o meno. E’ patrimonio UNESCO e luogo sacro per i musulmani. Vi sia arriva entrando da due accessi, uno gratuito e l’altro a pagamento (10 som per i locali e 20 som per gli stranieri). Ma partiamo con ordine: alla base del complesso storico-religioso si trova la bellissima ed imponente Moschea che letteralmente ammiro.

Moschea del Sulayman-Too

Moschea del Sulayman-Too

Decido di mettermi in cammino prima per la zona gratuita; non è una scelta dettata dal voler pagare dopo, bensì dal fatto che mi trovo più vicino in linea d’aria a questa area. Prima di iniziare la salita entro in un bugigattolo di negozio dove una vecchia signora tutta sdentata mi aspetta a braccia aperte. Comunicando a gesti riesco ad arrivare al frigo e mi scelgo una bevanda energetica al gusto di mela che si rivela un vero toccasana sia per il sapore gradevolissimo che per la sensazione di rieliquilbrio momentaneo che dà. Varco quella che è la porta di ingresso e raggiungo l’unica vera attrazione di questo lato: un bizzarro museo che sembra più una mega-antenna parabolica che altro. Ha di bello che è scavato interamente nella roccia, sicuramente posto all’interno di una delle tante grotte presenti su questa montagna.

Ingresso del Complesso del Sulayman-Too

Ingresso del Complesso del Sulayman-Too

 

Museo del Sulayman-Too

Museo del Sulayman-Too

Mi guardano tutti in maniera strana e curiosa: sono uno dei rarissimi occidentali (e pure cattolico…) qui presenti, in mezzo a signore musulmane di ogni stazza possibile vestite davero bene e di tutto punto per l’occasione. Decido di scendere e di dirigermi verso la seconda parte del complesso che raggiungo con una rifrescante discesa, ma non durerà molto. Alla guardiola di ingresso pago i 20 som a quella che è una po’ la tuttofare della situazione: oltre ad incassare i tickets ha un minaccioso scopettone in mano che ha sicuramente usato poco prima per pulire chissà quale superficie; le chiedo come poter fare per arrivare al secondo punto di interesse e lei, con un mimo che non fa una grinza, mi fa segno che dovrò salire tante tante tante scale. Alzo gli occhi al cielo e capisco di cosa sta parlando: il punto da raggiungere è davvero altissimo. E’ quasi ora di pranzo e fà un caldo da spaccare le pietre; quale miglior momento avrei potuto scegliere per quella ennesima scalata? Sistemo la visiera del cappello in modo da coprirmi dai raggi del sole altissimo nel cielo e vado gradino dopo gradino. Alla fine, respirando affannosamnente quasi come un bue tibetano, raggiungo la vetta e decido di godermi il panorama riposandomi un po’. Qui ho davvero la conferma che Osh è enorme…a perdita d’occhio. Oltre alla bella vista dall’alto, questo è ciò che trovo lassù:

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Scendere quelle scale è un gioco da ragazzi ed in men che non si dica mi ritrovo al piano strada. Li accade una cosa per me inusuale: la coda dell’occhio mi va su un pezzetto di carta di colore giallo chi si trova per terra poco distante. Mi chino ed ho conferma di ciò che pensavo: è una banconota da 200 som tutta ripiegata su se stessa. Mi guardo intorno e non vedo nessuno, così basta un attimo per far finire quei soldini nella mia tasca destra dei pantaloni. Incredibile…200 som…la stessa cifra pagata per la tratta aeroporto-centro città che mi viene rimborsata dal fato. Evidentemente lassù qualcuno sa che odio i taxi e mi ha voluto ricompensare in questo modo. Raggiungo poi una piazza in cui vedo incredibilmente panchine all’ombra senza chiappe di esseri umani poggiate sopra, così non me lo lascio dire due volte e mi riposo godendo della brezza che sta soffiando leggera. Ma la pacchia dura poco: in quel luogo ci sono un paio di punti di interesse da fotografare e, pazzesco, ciò che sto cercando quasi dal primo giorno: un banchetto che vende autentici souvenirs locali. Trattando come neanche un venditore di lunga data saprebbe fare, acquisto 8 “mini-yurte” al prezzo totale di 1.000 som quando la base di partenza era di 1.600 som. Le avrei portate ad amici e colleghi che almeno avrebbero terminato di scassarmi l’anima dicendo che non regalo loro mai nulla. Sfido io…se portassi qualcosa a tutti ad ogni viaggio che faccio andrei fallito, quindi la mia non è cattiveria ma solo sanissimo senso pratico.

Monumento con alle spalle una delle cinque vette del Sulayman-Too

Monumento con alle spalle una delle cinque vette del Sulayman-Too

 

Statua dedicata ad un personaggio locale

Statua dedicata ad un personaggio locale

Mi manca adesso di raggiungere una moschea per completare il programma e dedicarmi ad altro. Camminando ci arrivo, ma una volta lì mi prende un pizzico di delusione. Si tratta di una zona della città moooolto popolare e la moschea stessa si trova dentro ad un mercato, quindi per me non raggiungibile. Per di più, in quel preciso momento, è in corso una delle preghiere della giornata e l’interno dell’edificio religioso è pieno di persone prostrate sui tappeti che fanno da pavimento. A malincuore e senza foto faccio dietro front. A questo punto ho ancora un paio d’ore  a disposizione prima di tornare poi all’aeroporto e le passo vagando a casaccio per Osh, senza una mèta precisa. Faccio indubbiamente la scelta migliore poichè trovo altre belle statue, un palazzo davvero ben curato e soprattutto un bellissimo parco dove si trova un luna park in mezzo a tantissimi alberi.

Bel palazzo di Osh

Bel palazzo di Osh

 

Statua

Statua

Resto un bel po’ nel parco giochi che sembra “fisso” e non itinerante. Guardo, scopro ed osservo le abitudini degli abitanti locali. La verità è che le giostre sono un bel po’ tetre…si vede che non sono affatto nuove. Ci sono però delle particolarità, come per esempio macchine a scontro mai viste prima, con intorno all’abitacolo una enorme camera d’aria che le rende buffissime ed anche un po’ ridicole; o anche la “nave” che da noi viene alimentata con energia elettrica per andare velocemente da una parte all’altra…qui sembra gestita a spinta dagli utilizzatori al suo interno (ma qui credo e voglio sbagliarmi…). In più ci sono i chioschetti che cucinano cibo locale che vogliono per forza che io assaggi qualcosa, ma riesco a non farlo ringraziando mille volte. Per concludere in bellezza mi imbatto in una particolare fontana: vedo che l’acqua trabocca e non capisco il perchè, ma poi guardo meglio e vedo che ciò che fuoriesce (in grandi quantità) va a convogliarsi su una scalinata che non è altro che la seconda parte della fontana stessa. L’effetto ottico sarebbe stupendo, se non fosse per adulti e bambini che si divertono a passare il tempo scendendo i gradini con i piedi letteralmente inzuppati. La foto che segue la scatto in un momento fortunato, cioè quando nessuno (o quasi) si trova a scendere giù per la fontana.

Particolare fontana lungo una scalinata

Particolare fontana lungo una scalinata

Esco così dal luna park, riattraverso il bazar e giugngo sullo stradone. Stavolta aspetto di prendere al volo la marshrutka numero 107 e succede proprio questo. Con 10 som (contro i 200 del taxi) mi ritrovo all’aeroporto di Osh aspettando la partenza del volo di rientro per la capitale Bishkek. Qui succede l’inverosimile: mentre al mattino c’erano altri occidentali sull’aereo, ora sono l’unico “esemplare”…e quindi l’attrazione della serata. In più pare che ci siano quasi solo coppie e che tutte loro abbiano un neonato appresso. Su 150 passeggeri ci saranno si e no una quarantina di bambini da zero giorni ad un anno di vita. L’ora scarsa di traversata si prospetta disastrosa per la mia povera testa, sicuramente invasa da decine di fauci urlanti. Ma succede anche di peggio: mi trovo accanto una kirghiza che sarà stata poco più grande di me, ma bella “pienotta”. Non ci pensa su due volte: prende il telefonino e si fa una foto insieme a me che poi manda alle amiche su whatsapp; incredibile…si è fatta il selfie col turista…una merce rara da queste parti. In fase di partenza del volo, ogni tanto mi guarda e sorride. Io svicolo spiaccicando la faccia contro il finestrino e guardando fuori. Ma la tortura finisce presto: subito dopo il decollo la “dolce” creatura cade in un sonno profondo a bocca semi-aperta e così rimane per tutta la tratta. Non so dire se abbia russato oppure no perchè da parte mia avevo gli auricolari conficcati dentro le orecchie col volume oltre il massimo per non sentire i bambini frignare come neanche il peggior coro del mondo potrebbe fare. L’atterraggio a Bishkek è una liberazione nel vero senso della parola. La kirghiza si sveglia e ricomincia la solfa: ogni tanto si gira verso di me e sorride. Me la ritrovo anche davanti nel bus navetta che porta dall’aereo al terninal, tipo l’inizio del primo film della saga di Terminator. Tutto finisce quando supero la porta dell’area arrivi e torno alla stanza-salotto dove, ahimè, ripongo i bagagli nel borsone e nello zainetto a mano per l’ultima volta.

Sveglia alle ore 7:30 in questo giorno triste ma non del tutto. Dieci giorni in questo modo ed in questo paese non sono facili da affrontare e sento più di un po’ di stanchezza dentro di me. Incredibilmente sembra che l’idea di tornare a casa sia quasi piacevole. Saluto la famiglia che mi ha ospitato e torno in aeroporto, dal quale sono venuto via solo una decina di ore prima. Mi reco subito a depositare il borsone al check-in e poi di corsa vado giù all’area arrivi per cambiare i som rimasdti in euro. Alla fine, tutta quella permanenza tra notti fuori, colazioni, pranzi, cene e traspoorti per 10 giorni mi è costata 350 euro. Una media di 35 euro al giorno è praticamente niente a confronto di ciò che avrei pagato in Italia o in Europa. Salgo sul primo aereo della Turkish Airlines e tutto fila liscio. Ad istanbul ho uno scalo di quasi quattro ore che non passa mai, ma alla fine mi siedo anche sull’ultimo velivolo ed atterro a Fiumicino. Qui succede il miracolo: supero il controllo passaporti e per la prima volta nella mia vita, quando arrivo al ritiro bagagli…il mio borsone è già li che gira sul rullo. “Che succede???” mi domando. “Com’è possibile che in questo scalcinato paese funzioni qualcosa???”. Senza avere una risposta, esco dall’area arrivi e vado a prendere prima il Terravision  fino a Termini, poi la metro fino ad Anagnina ed infine la macchina fino a casa dove arrivo alle 21:15.

Alla fine dei giochi, eccomi alle conclusioni. E’ stata la mia prima vacanza “zaino in spalla” e sicuramente non sarà neanche l’ultima. Al momento in cui sto scrivendo ho già comprato la guida dell’Uzbekistan, mèta già decisa per giugno/luglio 2018.Ciò significa che mi sono trovato bene, nonstante alcune difficoltà comprensibilissime. Consiglio a tutti di visitare il Kirghizistan, terra magica che riesce a regalare tantissime emozioni, non ultima tra tutte l’assordante rumore del silenzio senza tempo e senza confini. Certo…ci vuole più di un po’ di spirito di adattamento, ma se la vita la si intende solo come pacchia totale da passare al villaggio o in hotel 4-5 stelle…non si ha capito proprio molto del suo senso. Io, amante del mare alla follia, sono sicuro che le vacanze vadano fatte in tutte le salse possibili perchè il mondo va visto tutto o il più possibile, non solo quelle quindici località dove i tour operators hanno deciso di investire aprendo un villaggio all inclusive. Un rammarico ce l’ho, ed è quello di aver seguito “la corrente” per troppo tempo ed essere oggi un po’ indietro rispetto ad altri “miei simili”, ma chi mi conosce sà che sono una testaccia dura e che recupererò ciò che ho perduto. Continuerò a fare le mie vacanze al mare, ma mi dedicherò anche ad altro ed il Kirghizistan mi ha aperto sia gli occhi che la mente in questo senso. Una volta messo a posto il borsone ormai vuoto, salgo sulla bilancia e scopro con piacere di aver perso 9 kili e mezzo in dieci giorni; quasi quasi mi viene voglia di ripartire per “finire il lavoro”, ma purtroppo non posso. L’ufficio e tutti i miei problemi quotidiani mi chiamano. Si conclude così questo lunghissimo resoconto del mio tour in solitaria nella terra dell’eroe Manas: addio Kirghizistan, mi mancherai davvero tanto.

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1 Commento

Isa cortesi 03/08/2017 - 19:55

Molto molto interessante!

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