Laos: un meraviglioso mix di spiritualità e natura

di admin
Haw Pha Bang - 2

Vuoi vedere il video fatto con le foto più belle del mio tour del Laos? E’ diviso in tre parti e puoi scegliere cliccando qui:

PARTE 1

PARTE 2

PARTE 3

 

A sei mesi e mezzo di distanza dalla mia ultima partenza per un tour torno finalmente in giro e lo faccio come meglio non avrei potuto sperare; ovviamente mi riferisco solo ai viaggi che occupano più di un week-end perchè di fine settimana in Europa ne ho già organizzati altri nel recentissimo passato. L’ultima volta fu in Lettonia (vedi post dedicato) prima di dovermi fermare forzatamente causa frattura della tibia rimediata dieci giorni dopo in Val di Mello. Questa nuova fuga mi regala quindi due sensazioni diverse ed entrambe positive: la prima suggella il vero e proprio ritorno in pista dopo l’infortunio; la seconda ce l’ho perchè decido (come sempre o quasi) di scoprire una nazione forse troppo poco considerata e questo aumenta emozioni ed aspettative. Il Laos ha la sfortuna di trovarsi in mezzo a realtà ben più battute come il Vietnam e la Birmania, ma è soprattutto troppo troppo vicina a due mostri sacri come la Cina e la Thailandia. Chi ha più tempo a disposizione organizza generalmente qualche giorno in Laos nel bel mezzo di un itinerario ben più articolato che comprende altre nazioni. Io invece vado contro corrente. Un po’ perchè sono affascinato dai luoghi che gli altri snobbano…ed un po’ perchè purtroppo posso contare solo sulla solita settimana lavorativa di ferie alla quale aggiungo due week-end (il precedente ed il successivo) portando così il periodo per le mie esplorazioni ad un massimo di 10-11 giorni totali. Calcolando la distanza da percorrere, le ore di volo e tutto il resto, sono sicuro che non ci sia niente di meglio che concentrarmi su una singola nazione per volta. Detto questo non resta niente di meglio da fare che dare il via alle danze.

Inizio con brevissimi cenni informativi ed organizzativi: il Laos è una Repubblica Democratica Popolare in cui il gruppo politico che detiene il potere da decenni è il “Partito Rivoluzionario del Popolo Lao” che è di matrice comunista. La moneta locale è il “Kip Laotiano” che, al momento della mia visita, viene scambiato a 1 euro = 9600 Lao Kip; il mio consiglio è quello di dividere gli importi locali per 10.000, così capire quanto si sta spendendo sarà molto più semplice. L’unica nazione del Sud-Est asiatico che non ha sbocco al mare ha anche un passato da ex colonia francese. Non esistono voli diretti dall’Italia e l’unico modo per arrivarci è facendo almeno uno scalo; l’area aeroportuale più gettonata per questa precisa funzione è quella di Bangkok ed è proprio su questa città che si sono rivolte le mie attenzioni durante la fase di primissima preparazione dell’itinerario. Un codice sconto trovato ad arte mi permette di acquistare la tratta Milano Malpensa-Bangkok Suvarnabhumi e ritorno (entrambi voli diretti) con la compagnia Air Italy pagando 366 euro totali, quota che comprende un bagaglio da stiva; senza di esso avrei speso 40-50 euro di meno, per cui parliamo di ottime cifre in ogni caso. Altre promozioni mi permettono di effettuare la tratta Roma-Milano e ritorno per cinque euro cadauna in bus notturno. La cosa che mi ha più “turbato” (se così si può dire) è stato il costo delle tratte da e per il Laos con base a Bangkok: mi sono costate circa 180 euro in totale, ovvero un’esagerazione bella e buona se si pensa che il tragitto si copre in un’oretta. Ho cercato e ricercato per settimane sui motori on-line, ma alla fine questo è il miglior prezzo che sono riuscito a spuntare. Neanche la famigerata Air Asia (più o meno la Ryanair di quella parte di mondo) è riuscita a darmi una tariffa più vantaggiosa. Il Laos, come recita il titolo di questo post, si visita soprattutto per entrare a contatto con la cultura locale che esprime il suo massimo mostrando al mondo i suoi tantissimi templi: ogni città ne ha in quantità esagerate. Ma gli argomenti non finiscono certo qui: anche la natura ha un ruolo importantissimo offrendo al viaggiatore paesaggi meravigliosi, cascate e fiumi. Ma non è tutto oro quello che luccica; infatti, subito dopo le normali apparenze, non si può dimenticare che questo è il paese più povero del Sud Est Asiatico, dove tantissima gente vive ancora oggi in condizioni molto difficili (anche se dignitose) spesso con meno di un dollaro a testa al giorno. Ciò lo si trova nei villaggi, ma anche nelle estreme periferie delle città maggiori. Si tratta di un contrasto spesso molto duro da accettare, ma che purtroppo è più reale che mai.

Sono le 22:00 di giovedi 24 gennaio quando il Flixbus lascia l’autostazione di Roma Tiburtina alla volta di Milano Lampugnano; sono le prime otto ore di un viaggio ben più complesso ed articolato e le passo lisce come l’olio in un profondissimo sonno. Sono le 6:15 del mattino quando scendo dal torpedone verde e, con tutta la calma del mondo, mi dirigo con la metro alla Stazione Centrale dove faccio colazione. Una passeggiata nella zona mi accompagna fino all’orario in cui salgo sul Terravision diretto a Malpensa. Dopo circa un’ora entro al Terminal 1 ed è già tempo di recarmi al banco del check-in per lasciare lo zaino da trekking. Appena libero dal fardello attendo ancora un po’ e vado ad effettuare prima il controllo del bagaglio a mano seguito da quello del passaporto. Tutto scorre bene e l’imbarco è puntualissimo, così come la partenza dell’aeromobile. Gente ce n’è parecchia in ogni ordine di posto, ma la fortuna vuole che accanto a me (sedile 27A) non ci sia nessuno: non me lo faccio ripetere due volte e mi piazzo più comodo che mai. Le undici ore circa di traversata passano abbastanza bene tra dormite colossali e calcio manager sul mini computer che ho sempre con me. E’ la terza volta che atterro a Bangkok Suvarnabhumi ed ormai di questo scalo so vita, morte e miracoli. La cosa brutta di questa combinazione di voli è che devo uscire dal settore immigrazione (beccandomi un timbro di ingresso in Thailandia sul passaporto) solo per prendere il bagaglio da stiva ed imbarcarlo poco dopo sul nuovo aereo per il Laos. Fatto ciò devo rientrare nell’area partenze e mi riprendo un secondo timbro sul passaporto (stavolta di uscita): bella idiozia, vero? Non sarebbe stato sufficiente poter fare tutto dall’area transiti? Ah già, dimenticavo: sarebbe troppo facile. Il velivolo della compagnia “Lao Airlines” è abbastanza osceno: piccolo, con file di posti 2+2 e con le eliche laterali a vista; mi ricorda più l’idrovolante delle Maldive che un aereo di linea. Durante il breve percorso voliamo molto bassi e sentiamo qualsiasi tipo di scossa possibile. La cosa fantastica è il pranzo: ci servono due tramezzini di numero di cui uno al tonno e l’altro con una crema gialla al suo interno. Io ho una certa fame, per cui chiudo gli occhi ed ingurgito il tutto; al massimo avrei usato le prime pillole di Imodium sapientemente portate con me nel bagaglio a mano, ma ciò non si rivela necessario. Sono diretto a Pakse, la città dotata di aeroporto più a sud del Laos, punto di partenza per diverse escursioni. E’ in fase di atterraggio che noto due cose: la prima è l’enorme e storico fiume Mekong che accarezza la cittadina; la seconda è che il velivolo ce la sta mettendo proprio tutta per non farsi portare via dal vento che gli rende la discesa quasi impossibile. Dopo scossoni a non finire, il pilota riesce a far toccare il carrello sulla pista e tutti noi passeggeri (una ventina al massimo) abbiamo l’onore di tirare un sospiro di sollievo.

Primo sguardo al Mekong nell'area di Pakse

Primo sguardo al Mekong nell’area di Pakse

Inutile dire che la giornata è fantastica: qualche ora prima avevo lasciato Milano con un freddo addosso da non sapere come coprirmi mentre qui c’è un sole bellissimo e la temperatura è sicuramente sopra ai 30 gradi: per me che adoro il caldo è il paradiso in Terra. Ma non mi perdo in cavolate perchè ho già molto da fare; per prima cosa occorre ottenere il visto di ingresso (durante il tragitto ho compilato il modulo di richiesta in ogni sua parte). La cosa è molto semplice: nella saletta del minuscolo aeroporto di Pakse ci sono cinque gabbiotti numerati in maniera progressiva che vanno seguiti diligentemente senza saltarne neanche uno ed ognuno di essi ha una funzione ben precisa: nel gabbiotto numero uno ci sono due impiegati: il primo credo sia il raccomandato di turno perchè non fa un beneamato tubo; prende il passaporto ed il modulo e li passa alla collega quasi senza guardarli. Lei almeno annota su un quaderno (rigorosamente scrivendo a mano) alcuni dati necessari. Passo poi al gabbiotto numero due e la solfa è la stessa: l’addetto di turno riempie altre inutili scartoffie. Il gabbiotto numero tre è quello più amaro: qui si paga. L’importo per chi ha cittadinanza italiana è di 35 dollari americani e non è possibile pagare con carta di credito. Nel caso di non possesso di dollari si possono pagare 35 euro e passa la paura. I gabbiotti numero quattro e cinque svolgono la stessa funzione e sono la conclusione del percorso, quello in cui il visto viene effettivamente rilasciato ed attaccato sul passaporto. Qui voglio sfatare un mito: prima di mettermi in viaggio avevo letto su più siti che bisogna presentarsi in questo punto con una/due foto tessera per evitare che i funzionari applichino un sovrapprezzo di 5 dollari americani (o 5 euro) per effettuare la scansione del passaporto ed usare la foto lì presente. Bene, sappiate che è una notizia totalmente falsa: anche qui si sono evoluti e la fotografia la scattano direttamente loro con una fotocamera senza chiedere un centesimo di più. Io non lo sapevo ed ho buttato via 5 euro a Roma per avere le foto già pronte e non perdere tempo in minchiate. Ancora oggi che sono a casa spero che possano servirmi a breve per altre necessità perchè mi dispiacerebbe doverle buttare via.  Baldo e fiero col mio visto nuovo di zecca esco nell’area arrivi e, dopo aver cambiato una piccola quantità di euro per poter sostenere le primissime spese all’unico cambiavalute presente(il tasso è da ladrocinio, ma non ho altra soluzione), cerco un Tuk Tuk che mi porti in albergo; il prezzo è standard ed anch’esso da rapina: 50.000 Lao Kip solo perchè si parte dall’aeroporto. La strada da percorrere è di poco oltre i quattro kilometri e ci mettiamo meno di dieci minuti ad arrivare; purtroppo non avevo altra scelta e mi sono dovuto far portare perchè sono già le 14:00 circa ed ho diverse cose già in programma per il resto della giornata. In reception prendo le chiavi della stanza ed acquisto una SIM locale per poter essere sempre connesso: al costo di 15.000 Lao Kip si hanno 300 megabytes di navigazione validi per un mese. Per chi, come me, non scarica mai i video ma usa solo messaggi e chiamate whatsapp sono più che sufficienti per dieci giorni. Giusto il tempo di prendere possesso della camera, cambiarmi gli abiti invernali indossando al loro posto t-shirt più pantaloncini e preparare lo zainetto che mi accompagnerà e mi trovo già fuori, pronto ad esplorare l’area mappa alla mano.

GIORNO 1 – PAKSE

Fa caldo…molto caldo…ma ve benissimo così; non potrei volere di meglio. Per oggi ho due obiettivi ben precisi: una prima scoperta della città che mi ospita e la ricerca di un’agenzia turistica locale dove prenotare il tour per domani mattina al Bolaven Plateau. Cercando di riuscire a fare tutto nelle poche ore a disposizione mi metto in marcia. Ovviamente la cosa che al momento mi preme di più è la seconda, per cui mi dirigo nella zona che mi sembra più congeniale per ospitare attività commerciali rivolte ai turisti e non ai normali abitanti. Non ci metto molto ad individuare ciò che mi serve ed a concludere l’affare; l’ultima che ho usato è proprio la parola giusta perchè pago 150.000 Kip (circa 16-17 euro) ciò che era prenotabile anche on-line dall’Italia ed offerto a 68-70 euro. Chi mi conosce sà che generalmente cerco di partire da casa con tutto già sistemato, ma le tante esperienze passate mi hanno insegnato a diffidare clamorosamente dai ladri che offrono escursioni tramite internet perchè in loco si risparmia tantissimo. Uscendo dall’agenzia noto un supermarket di quelli che piacciono a me che eleggo a mio personale “spacciatore di bibite” da portare in stanza dopo ogni cena e, proprio a venti metri da dove mi trovo, vedo anche un ufficio cambi che applica finalmente il tasso corretto; ne approfitto subito per aumentare la mia disponibilità di Lao Kip a sufficienza per i prossimi tre-quattro giorni. Tolti i “doveri” restano solo i piaceri, per cui inizio la visita di Pakse. L’immediato impatto con la cultura locale e con ciò che maggiormente offre il Laos nella sua interezza è davvero molto bello: il Wat Phabad mi accoglie in silenzio perchè, a quest’ora e col sole che picchia forte, ci sono solo io ad osservarlo. E’ il mio primo incontro ravvicinato con gli Stupa, ovvero quei monumenti buddhisti usati per la conservazione delle reliquie. Ne vedrò tantissimi da qui alla fine del tour, di varie forme e dimensioni. Passeggio quindi osservando in silenzio.

Wat Phabad - 1

Wat Phabad – 1

Wat Phabad - 2

Wat Phabad – 2

Wat Phabad - 3

Wat Phabad – 3

Le foto sono un piccolo riassunto di ciò che trovo in questo sito dove rimango il tempo necessario. Quando esco supero il ponte sul fiume Xe Don e scendo un piano più in basso usando una scalinata che più disastrata non si potrebbe. Il tempio Chua Thanh Quang è ubicato dietro ad un cancello di metallo che lascia molto a desiderare. Anche qui l’atmosfera è totalmente calma, animata solo da un anziano monaco in atto di preghiera che faccio di tutto per non disturbare.

Chua Thanh Quang - 1

Chua Thanh Quang – 1

Chua Thanh Quang - 2

Chua Thanh Quang – 2

Percorrendo la stessa strada che mi ha condotto qui torno al piano superiore e ripasso sul medesimo ponte. Il prossimo obiettivo è il Tempio Cinese che francamente (e senza offesa…ci mancherebbe) mi pare più un ristorante, anche se non è così. Sulla medesima direttrice mi imbatto in un’ampia area verde dove sicuramente si sta svolgendo una manifestazione perchè ci sono bancarelle, un palcoscenico e soprattutto molte persone. Kaysone Pomvihane, leader per decenni del Partito Rivoluzionario del Popolo Lao nonchè primo premier e poi presidente della repubblica, dà il nome sia al parco che ad un monumento qui presente.

Tempio cinese di Pakse

Tempio cinese di Pakse

Kaysone Monument

Kaysone Monument

A breve distanza eccomi di fronte ad altri due punti di interesse: il primo è il Museo del Patrimonio Storico della provincia di Champasak ed il secondo è lo stadio locale. Vedo diverse macchine nel parcheggio ed una folla abbastanza numerosa di persone dentro l’impianto. Avvicinandomi noto che tutti gli ingressi sono aperti e che quasi sicuramente c’è in corso una partita di calcio (dopotutto oggi è sabato e ci può stare). Cerco di capire se posso intrufolarmi in qualche modo e mi pare di non notare biglietterie di nessun tipo, per cui passo dopo passo mi metto tra la gente. Lo spettacolo è allo stesso tempo interessante e triste. Interessante perchè non capita certo tutti i giorni di poter assistere ad un evento sportivo in Laos; triste perchè sia le tribune che il terreno di gioco sono messi molto male. Questo mi fa capire perchè la locale squadra nazionale è al posto numero 184 (su 211 affiliati) della classifica mondiale. Soprattutto temo che le prospettive future non siano positive.

Museo del Patrimonio Storico della Provincia di Champasak

Museo del Patrimonio Storico della Provincia di Champasak

Esco dalla piccola e pacifica bolgia dello stadio ed entro in quella che è probabilmente la zona più importante della città, ovvero il mercato: qui si svolge la maggior parte della vita quotidiana di Pakse. La strada che prendo ha una moltitudine di attività commerciali su ambo i lati; questa condizione genera un discreto caos di macchine, furgoncini  adibiti al carico/scarico della merce e chi più ne ha più ne metta. Come se non bastasse, una traversa immette direttamente in quello che i locali chiamano “New Market” (un’area dove si scambia proprio di tutto) anche se l’ingresso ufficiale con tanto di insegna si trova nella via parallela. Più che un’occhiata non posso dare perchè sicuramente non mi interessano forniture di nessun genere. Arrivo all’inizio del famoso “Lao-Nippon Bridge”: si tratta di un imponente ponte lungo 1.380 metri che unisce le due sponde del Mekong. In ordine di tempo è il secondo costruito in questa nazione su questo fiume, ma il primo che è totalmente compreso nel territorio laotiano. Si chiama così perchè il progetto è stato interamente finanziato e realizzato dal Giappone.

Lao-Nippon Bridge - Targa Commemorativa

Lao-Nippon Bridge – Targa Commemorativa

Camminandoci verso la sponda opposta si nota ancora di più la vastità del corso d’acqua che scorre sotto ai miei piedi; mi viene difficile immaginarlo in piena durante la stagione delle piogge perchè già così è enorme. Arrivo fino alla fine perchè ho un obiettivo da raggiungere ed è osservare da vicino il Phu-Salao, ovvero il Golden Buddha, posto sulla sommità di una collina. La sua figura si nota da molto lontano ed è facile intendere che sia una statua grandissima. Quando ho davanti a me l’inizio della scalinata neanche mi passa per la testa  a cosa sto andando incontro.

Ingresso al Phu-Salao

Ingresso al Phu-Salao

Dopo una prima parte del tutto abbordabile inizia lo strappo vero e proprio: di punto in bianco non sembra più di salire delle scale in pietra, bensì di scalare una parete quasi verticale; è indispensabile reggersi ai lati per non fare un passo falso ed andare giù come sacchi di patate. Del tutto superfluo è rammentare la fatica che si sente, e non c’è da stupirsi se occorre evitare qualcuno fermo a metà percorso perchè non ce la fà più. Quando incontro uno spiazzo ho modo di rifiatare un po’, ma non intendo di certo fermarmi, così mi butto a capofitto contro la terza rampa che stavolta è più dolce ma anche più lunga delle precedenti.

Nello spiazzo tra la seconda e la terza rampa

Nello spiazzo tra la seconda e la terza rampa

Alla fine mi ritrovo in cima, ma non senza segni visibili: la mia maglietta è un mezzo bagno di sudore e mi tira sù il morale soltanto l’idea che in Italia la gente va in giro con doppi cappotti per ripararsi dal freddo ed ombrello anti pioggia. Prima di dedicarmi alla statua del Buddha dorato ho una vista molto nitida del Lao-Nippon Bridge dall’alto che non voglio perdermi.

Lao-Nippon Bridge

Lao-Nippon Bridge

Il Phu-Salao è finalmente davanti a me e da qui posso constatarne le reali dimensioni. Non sono nè Buddhista nè tantomeno religioso, però il rispetto per tutte le culture e la voglia di scoprire mi fanno fermare quassù qualche minuto in più. La cosa fastidiosa sono i soliti gruppi di asiatici in bus che non aspettavano altro che l’occasione per scattarsi un patetico selfie.

Phu-Salao - 1

Phu-Salao – 1

Phu-Salao - 2

Phu-Salao – 2

Prima di effettuare la discesa mi volto alla mia sinistra ed ammiro il primo di una lunga serie di meravigliosi tramonti tipici di questa parte di mondo. La cosa poco piacevole è che devo ammirarlo ancora una volta da solo, nella speranza che vengano presto tempi migliori. Il silenzio è rotto solo dal ciarlare dei turisti, ma io mi isolo totalmente dalla marmaglia suonando nella mia mente una delle più belle melodie di Battiato (Gli uccelli) che, lasciatemelo dire, casca proprio a pennello. Chi la conosce può confermare.

Tramonto su Pakse

Tramonto su Pakse

Ebbene si, la luce per oggi sta calando e devo necessariamente far rientro alla base, ma senza alcuna fretta perchè prima devo tornare al piano strada. Se salire è stato difficoltoso, scendere non è da meno. L’ormai famigerata seconda rampa di scale adesso fa quasi paura: è ora che mi rendo davvero conto di quanto sia verticale e affronto ogni singolo gradino guardando esattamente dove metto i piedi e reggendomi al corrimano. Una volta in fondo faccio un salto a vedere la piccola ma graziosa chiesa cattolica ubicata poco lontano e poi inverto la rotta che mi porta fino all’hotel. Ma prima ho una sorpresa di benvenuto: dall’area verde del Kaysone Park iniziano a salire in cielo una serie di fuochi d’artificio proprio quando sto attraversando il ponte sul Mekong: non posso non fermarmi ad osservarli.

Fuochi d'artificio visti dal Mekong

Fuochi d’artificio visti dal Mekong

Mi aspetta una bella doccia seguita da una nuova uscita in direzione del supermarket scovato poche ore prima dove acquisto una bottiglia di Coca Cola Zero da 1,5 litri, una bottiglia d’acqua grande, una Beerlao “White” (una variante della birra locale che scoprirò avere un sapore fenomenale e che sarà la mia compagna di viaggio per l’intero tour) ed un paio di confezioni di Noodles fai-da-te che avrebbero potuto alleviare i miei pranzi. Si perchè questo è il periodo in cui sto affrontando una dieta ferrea con ottimi risultati e, anche se mi dispiace moltissimo rinunciare a tante cose buone, non ho intenzione di interromperla qui. Per cui decido di fare un unico vero pasto quotidiano (la cena) e di mangiare qualcosa di estremamente leggero durante il giorno se proprio mi venisse una fame lancinante, altrimenti si tira avanti fino a sera. Spendo 26.000 Lao Kip per tutto questo, vale a dire circa 2,80 euro: un altro motivo per cui questo paese mi piace moltissimo. Trovo un ristorante molto semplice ma che mi ispira e mi siedo consumando ciò che posso senza strafare e poi, anche se stanchissimo dal lungo viaggio che mi ha portato fin qua, decido di provare a fare una passeggiata in centro…anche se Pakse un vero centro non ce l’ha.  Noto che il 99,99% delle persone è rintanata nel Kaysone Park in quella specie di manifestazione locale alla quale sinceramente non mi va di andare, per cui faccio marcia indietro e me ne vado a nanna prima del solito accendendo l’aria condizionata per il troppo caldo.

GIORNO 2 – BOLAVEN PLATEAU

La sveglia suona alle 7:30 e, nonostante le sei ore di fuso orario in avanti, non ho particolari difficoltà ad alzarmi. Oggi sarà un giorno per me mooooolto particolare perchè per poter effettuare il giro prefissato ho dovuto unirmi ad un tour organizzato, vale a dire un minivan composto da una decina di sconosciuti che si ritrovano insieme per dieci ore solo per perseguire l’obiettivo comune. So già che non mi troverò bene perchè le mie idee di viaggio stonano con quelle di quasi tutti gli altri esseri umani, ma non avevo altra scelta e non mi sono tirato indietro. L’appuntamento è nel piazzale del mio hotel tra le 8:00 e le 8:20 ed io mi faccio trovare pronto con qualche minuto di anticipo. E’ tutto vano come quasi sempre accade perchè mi vengono a prendere alle 8:50, alla faccia della puntualità. Se fossi stato in Italia avrei fatto un casino, ma in certi paesi questo comportamento è semplicemente la quotidianità e non ci si può fare nulla se non una bella risata. Il Bolaven Plateau è un altopiano ubicato vicino alla città di Pakse; di esso sono note la fertilità della sua terra ed alcune bellezze naturali. Il giro completo si effettua in due giorni pieni, ma ciò che interessa a me è visibile in giornata ed è questo ciò per cui ho optato in fase di prenotazione. Inutile dire che ci avevo preso in pieno poichè l’inizio del tour è più vicino ad uno strazio che ad un’escursione. La prima sosta che fà l’autista lungo la strada è davanti a dei banchetti che vendono delle ceste intrecciate a mano; per carità…sono anche belle ed utili…ma un bel “chissenefrega” ce lo vogliamo mettere? La seconda sosta non è da meno, ma ha un tocco in più che la rende un tantino piacevole: ci fermiamo di fronte a dei banchetti che vendono utensili in metallo e legno fatti a mano ed è interessante osservare i locali mentre costruiscono le loro creazioni togliendole dalla brace ancora incandescenti e modellandole a suon di sane martellate. La terza sosta è a dir poco un lampo da genio della cattiveria: ci fermiamo di fronte ad un mercato comunissimo che vende frutta, verdura ed oggettistica spicciola. Ma porca miseria…per quale motivo dobbiamo scendere dal minibus quando Pakse è di per sè un enorme mercato a cielo aperto? Mentre mi chiedo questo vedo una signora francese del “mio” gruppo che fa compere, per cui calo un velo pietosissimo sull’argomento. La quarta sosta me l’aspettavo perchè era prevista nel depliant, per cui non aggiungo commenti personali: dato che questa zona è molto conosciuta per la produzione di tè e caffè, eccoci tutti quanti a gironzolare in mezzo ad un grandissimo campo pieno di verde nel quale ci viene indicata qual’è la qualità “arabica” e qual’è la qualità “neanche me la ricordo”. La sola conclusione alla quale arrivo è che siamo in mezzo a migliaia di piante insignificanti e tutte uguali. Alla fine della spiegazione veniamo accompagnati nel bar della piantagione dove, manco a dirlo, ci invitano a consumare a pagamento ed io mi astengo. Il motivo per cui non mi piacciono queste cose è lampante: sono le 11:30 quando parcheggiamo il minivan nel primo vero sito di interesse della giornata e quindi abbiamo gettato alle ortiche quasi tre ore per pure minchiate. L’autista ci dice che abbiamo un’ora di tempo a disposizione per vedere il sito delle cascate Tad Yuang e non mi faccio certo pregare. L’area è totalmente attrezzata con bancarelle e ristoranti vari, al punto che perde molta della sua autenticità.  Carina, ma palesemente costruita ad arte, l’immagine che porto via di alcune donne locali che vestono costumi tipici del luogo.

Area attrezzata delle Cascate Tad Yuang

Area attrezzata delle Cascate Tad Yuang

Donne locali nell'area attrezzata delle Cascate Tad Yuang

Donne locali nell’area attrezzata delle Cascate Tad Yuang

Inizio a vedere il fiume che, di li a poco, darà vita alle tanto agognate cascate: attraversa una zona verde molto bella. Ma ad attirarmi è il fragore che sento aumentare ad ogni passo e quando le vedo resto a bocca aperta.

Il fiume si prepara...

Il fiume si prepara…

Tad Yuang Waterfalls - 1

Tad Yuang Waterfalls – 1

Tad Yuang Waterfalls - 2

Tad Yuang Waterfalls – 2

Tad Yuang Waterfalls - Il miglior punto di osservazione

Tad Yuang Waterfalls – Il miglior punto di osservazione

Ci ho provato in tutti i modi mettendo sia foto che video direttamente nel post, ma mi rendo conto da solo che vedere queste cascate con i propri occhi le rende ancora più maestose. Qui sembrano qualcosa di normale, ma non è così. Davanti a spettacoli del genere un’ora a disposizione è anche poca, però questo abbiamo e devo tornare a bordo. Prossima fermata, manco a dirlo, è un resort dal quale si gode la miglior vista possibile delle Cascate Tad Fane. E’ ora di pranzo e qui scatta il colpo di genio dell’autista: due ore di sosta prima di ripartire…studiata ad arte per farci mangiare al ristorante locale che sicuramente è in combutta con lui per la solita percentuale sul venduto. Mi dedico quindi ad ammirare quest’altro capolavoro della natura. Rispetto al precedente lo possiamo osservare da lontano data la conformazione ambientale; restano comunque molto belle.

Tad Fane Waterfalls

Tad Fane Waterfalls

Qui ci sarebbe anche la possibilità di fare un percorso in “zip-line” al modico prezzo di 40 dollari americani, ma sinceramente la struttura di partenza non mi dà la fiducia necessaria in quanto a manutenzione e stabilità, per cui rinuncio; lo stesso fanno anche tutti gli altri membri del giro. Resta più di un’ora e mezzo stavolta; che faccio? Mi isolo nuovamente mentre tutti si riempiono lo stomaco? Ripetere lo show della caffetteria non mi pare il caso, per cui mi siedo al tavolo di coloro che ho vicini nei posti sul minivan ed ordino qualcosa (i prezzi sono ovviamente ben più alti di quelli pagati ieri sera al ristorante di Pakse) facendo uno strappo alla regola. Scopro che una componente del gruppo è italiana (anche lei da sola) ed esattamente di Follonica, località a circa 40 kilometri dal luogo in cui ho passato i primi vent’anni della mia vita; il mondo è davvero piccolo. Comunque, per non fare torti agli altri ospiti del tavolo, anche tra di noi continuiamo a conversare in inglese. Giunge il momento di andare via e di fermarci presso un villaggio locale; è qui che viene fuori prorompente l’altra faccia del Laos della quale parlo nella prima parte di questo post, cioè quella in cui dò alcune brevi informazioni di base. Camminiamo lungo una strada fatta di sola terra rossa (roba che nella stagione delle piogge sicuramente si trasformerà in tonnellate di fango che arriveranno fino alle ginocchia) in mezzo a case spartanissime ed animali di ogni tipo: vedo mucche, polli, cani, gatti, una scrofa che allatta i suoi piccoli emettendo dei buffi rumori e chi più ne ha più ne metta. Il tutto con i bambini che giocano in mezzo alla polvere indossando abiti sporchi e sicuramente non nuovi. Viene un senso di tristezza pensando che a Pakse, città che non è proprio il top, le persone vivono in maniera più vicina a ciò cui siamo abituati. Sono proprio i bambini che salvano villaggi come questo, con i loro sorrisi, la loro curiosità verso qualcosa di diverso, la loro fantasia di giocare nonostante abbiano condizioni avverse per poterlo fare. Non è la prima volta che vado a scoprire un paese povero, ma ancora oggi non riesco a credere che ci siano così tante persone che riescono a sopravvivere con anche meno di un dollaro al giorno pro capite.

Villaggio del Bolaven Plateau - Animali

Villaggio del Bolaven Plateau – Animali

Villaggio del Bolaven Plateau - I bambini

Villaggio del Bolaven Plateau – I bambini

Villaggio del Bolaven Plateau - La scrofa ed i piccoli

Villaggio del Bolaven Plateau – La scrofa ed i piccoli

Lasciare luoghi come questo ti fa andare via con l’amaro in bocca e la volontà di fare qualcosa per aiutare, ma cosa si può fare per tutti loro? La prossima tappa del tour ci porta, sempre con un’oretta di tempo scarsa, alle Cascate Tad Lo. Quando ci arriviamo sono totalmente all’ombra perchè il sole si trova esattamente dietro di esse, coperto dalla fitta vegetazione attraverso la quale scorre il fiume. Per arrivare il più vicino possibile all’acqua occorre superare una trentina di metri di massi, ma lo si fà agevolmente. Ecco quindi che, pur senza la giusta luce, posso ammirare anche questo scorcio di natura locale.

Tad Lo Waterfalls - 1

Tad Lo Waterfalls – 1

Tad Lo Waterfalls - 2

Tad Lo Waterfalls – 2

Lasciamo anche questo sito e ci aspetta l’ultima sorpresa prima del rientro a Pakse: una sosta presso un capanno in cui alcune donne del posto producono a mano delle stoffe; sinceramente ci mancava questa…ed infatti stavolta nessuno del gruppo mostra interesse invogliando il driver ad alzare i tacchi ed andarsene. Da qui alla destinazione finale (il mio hotel) ci sono circa sessanta minuti di strada ed arriviamo che è già buio. Durante il tragitto ho però modo di osservare alcune scuole e di imparare come in Laos il 99,99% dei ponti è fatto di metallo e soprattutto sia mono-corsia: quando passa un veicolo, chi viene dal senso opposto deve necessariamente dare la precedenza perchè per procedere in due non c’è spazio materiale. Rientro in stanza per fare la doccia e cambiarmi per poi provare a ripetere la stessa prassi di ieri sera; prima però raggiungo l’agenzia che ha organizzato il tour odierno per prenotare un passaggio di andata e ritorno per domani al Wat Phou, ma mi dicono stranamente che non c’è modo di arrivarci per una persona sola a meno di pagare due biglietti. La cosa mi puzza troppo e, a costo di rischiare di perdere l’escursione, saluto e lascio perdere. Mi sposto di neanche quattro metri entrando nell’agenzia vicina e magicamente spunta fuori la possibilità di andare al Wat Phou pagando un solo ticket (120.000 Lao Kip) che ovviamente compro di corsa. Cari signori, ancora deve nascere chi mi frega. Con ciò che volevo in mano, mi sposto al supermarket e faccio il pieno di bibite; poi con mio sommo dispiacere noto che il ristorante dove avevo gustato dell’ottima cucina locale solo ventiquattro ore fa, oggi è inspiegabilmente chiuso. Devo per forza di cose sceglierne un altro ed il risultato non è all’altezza delle aspettative. Provo di nuovo a fare due passi in paese ma non c’è niente di interessante: l’unico posto “vivo” è ancora il Kaysone Park, ma io proseguo la mia politica del non volermi infilare lì dentro, per cui tiro dritto fino all’hotel e vado a riposarmi.

GIORNO 3 – WAT PHOU E CONCLUSIONE DELLA VISITA DI PAKSE

Oggi la sveglia suona alle 7:00 poichè l’appuntamento è per le 8:00 di fronte all’agenzia che so di raggiungere in circa quindici minuti di cammino tranquillo. Anche stavolta arrivo dieci minuti prima ed attendo il minivan che si presenta col solito ritardo. Il piano per la giornata è questo: esplorare l’antico tempio Wat Phou in lungo ed in largo e poi sfruttare l’ora di pranzo per fare un giro nella località di Champasak; oggi durante la sosta ristoro sarò nella civiltà e non in un resort senza via di fuga, per cui non mi farò certo fregare un’altra volta. Ci mettiamo in marcia e non posso fare a meno di osservare che in due punti distinti del percorso ci sono dei veri e propri caselli per il pagamento di pedaggi. La cosa strana è che la strada che segue i caselli non presenta migliorie particolari rispetto a quella gratuita e resta sempre ad una corsia per senso di marcia. Chissà perchè si deve pagare per percorrerla…?  Con questo dubbio ancora irrisolto raggiungiamo Champasak; non è una vera e propria città, ma più che altro un insieme di villaggi che si estendono lungo la sponda del Mekong per circa dodici kilometri. Passando noto almeno quattro templi molto interessanti e non vedo l’ora di visitarli più tardi. Ancora un po’ di strada ed arriviamo al parcheggio dove l’autista ci scarica dandoci esattamente due ore e mezzo di tempo libero per poter girare il sito. Il biglietto (50.000 Lao Kip) non è compreso nella tariffa del trasporto, ma lo sapevo da ieri. Il Wat Phou (o Tempio della Montagna tradotto dalla lingua locale) è ciò che arriva a noi di un Tempio Khmer costruito tra il VII° ed il XIV° secolo. Purtroppo l’intera struttura è in stato di avanzato degrado, ma il fatto che sia patrimonio UNESCO mi fa ben sperare. C’è chi dice che sia una versione in piccolo del ben più conosciuto Angkor Wat in Cambogia e non mi resta che scoprirlo. Il tour inizia con la visita di un piccolo museo che riporta un po’ di storia e diversi reperti rinvenuti nel corso dei secoli; è interessante ma in breve tempo si torna nuovamente all’esterno. Qui ci attende una specie di trenino elettrico che conduce direttamente all’inizio vero e proprio della passeggiata che porta al tempio costeggiando due laghi divisi da una strada; ci sono animali che pascolano indisturbati e la giornata appare perfetta dal punto di vista meteo. La prima parte prevede di camminare su un terreno lastricato e sconnesso fino al raggiungimento di due palazzi dirimpettai che prendono il nome di Northern Palace e Southern Palace. Posso constatare con i miei occhi che la maggior parte della struttura è venuta giù, però c’è comunque modo sia di vedere diversi dettagli che di accedere all’interno di entrambe le costruzioni.

Wat Phou - Ingresso Principale

Wat Phou – Ingresso Principale

Wat Phou - Northern Palace

Wat Phou – Northern Palace

Wat Phou - Southern Palace

Wat Phou – Southern Palace

Wat Phou - Dettaglio - 1

Wat Phou – Dettaglio – 1

Wat Phou - Dettaglio - 2

Wat Phou – Dettaglio – 2

Dietro al Southern Palace ci dovrebbe essere una sala chiamata “Nandl Hall” che probabilmente fungeva da biblioteca, ma di essa c’è rimasto davvero poco o niente. Non lontana da qui inizia la scalinata monumentale che conduce verso un piano rialzato: sono particolari gli alberi presenti ornati da fiori meravigliosi.

Wat Phou - Parte della Scalinata Monumentale

Wat Phou – Parte della Scalinata Monumentale

Una volta in cima ho davanti a me il santuario, che è anche l’edificio conservato meglio; le foto di rito sono immancabili. Entro poi all’interno e trovo un piccolo altare con dietro la statua di Buddha; qui si può suonare un piccolo gong, ovviamente con rispetto e moderazione perchè non è la batteria di un gruppo heavy metal.

Wat Phou - Esterno del Santuario - 1

Wat Phou – Esterno del Santuario – 1

Wat Phou - Esterno del Santuario - 2

Wat Phou – Esterno del Santuario – 2

Wat Phou - Dettaglio - 3

Wat Phou – Dettaglio – 3

Wat Phou - Interno del Santuario

Wat Phou – Interno del Santuario

Torno all’esterno e procedo verso il punto in cui la montagna lascia cadere dell’acqua sotto forma di gocce, poche per volta, ma continue. La leggenda narra che questa piccola fonte sia santa ed i locali la usano davvero come portatrice di buon auspicio. Adesso qui ci sono io e penso che, anche se non mi regalerà del bene, sicuramente male non potrà farmi;  per questo motivo mi tolgo il cappello, prendo un po’ di quell’acqua con la mano destra e me la passo sulla testa. Rimetto il cappello e continuo l’esplorazione dell’area che si conclude raggiungendo nell’ordine la Pietra dell’elefante e la Pietra del coccodrillo, ovvero due rocce scolpite con le figure di questi due animali. Vado poi sul ciglio del pianoro in cui mi trovo e posso osservare il bellissimo paesaggio che si apre sotto di me: da quassù i palazzi ed i laghi si vedono molto bene.

Wat Phou - I laghi dall'alto

Wat Phou – I laghi dall’alto

Guardo l’orologio ed ho a disposizione circa 25 minuti, per cui inizio la discesa del ritorno, ma stavolta decido di non servirmi del trenino per tornare all’ingresso, bensì di percorrere la strada a piedi passando sul lembo di terra che divide i laghi. Non avrei potuto fare scelta migliore perchè qui sono da solo e le mucche al pascolo sono le uniche compagne d’avventura in un silenzio rotto solo ogni tanto dai loro muggiti. Anche il panorama è degno di nota.

Wat Phou - Animali al Pascolo

Wat Phou – Animali al Pascolo

Wat Phou - Il Lago e la Montagna

Wat Phou – Il Lago e la Montagna

Con cinque minuti netti di anticipo mi presento al minivan e qui…”qualcuno” si vendica delle mie azioni: sono il primo a salire a bordo e, non so ancora spiegarmi come, calcolo male le misure e dò una craniata devastante sul tettuccio del mezzo. La cosa davvero angosciante è che la botta la prendo proprio nel punto in cui avevo messo le gocce di acqua santa poco prima. Questa è la riprova che io e la religione siamo due cose opposte: probabilmente è stato Buddha a farmi capire che non posso rivolgermi a lui solo quando serve oppure è stato “nostro signore” a punirmi per essermi rivolto alla concorrenza. Subito dopo il botto, i due francesi che avevo dietro esclamano “Oh là là…la Tete!”, seguito da un roboantissimo “La Tete un cazzo” che esce dalla mia boccuccia mentre la mano destra cerca di attutire il dolore come può. Adesso sarebbe il momento del pranzo e già pregusto la passeggiata in quel di Champasak per vedere i templi intravisti qualche ora fa, ma anche qui qualcosa va storto: l’autista se ne frega del programma e punta dritto verso Pakse passando da un’altra strada, diversa rispetto all’andata. Nessuno dice niente ed a me non va di fare polemica; anche se mi dispiace devo adeguarmi. Vengo lasciato davanti all’agenzia e da lì, sotto ad un sole pesante, mi metto in moto per concludere più degnamente possibile la visita di Pakse iniziando dal vicino Wat Luang, un’altra area adibita a templi davvero degna di nota.

Wat Luang - 1

Wat Luang – 1

Wat Luang - 2

Wat Luang – 2

Wat Luang - 3

Wat Luang – 3

Wat Luang - 4

Wat Luang – 4

Proseguo poi andando verso una parte di periferia che ancora non ho battuto e trovo un piccolo Tempio Cinese esattamente alla confluenza tra lo Xe Don ed il Mekong ed un altro Tempio Buddhista.

Tempio Buddhista - Ingresso

Tempio Buddhista – Ingresso

Tempio Buddhista - Interno del complesso

Tempio Buddhista – Interno del complesso

A punti di interesse esauriti in questa direzione torno indietro e volgo la mia attenzione verso i templi minori rimasti perchè per il resto non c’è molto altro, se non la recentissima Sala eventi e congressi della regione di Champasak (è così nuova da essere ancora in fase di rifinitura) e  l’osservazione frenetica della vita lungo le zone di mercato.

Champasak Event Holding Hall

Champasak Event Holding Hall

Alla fine proprio di tutto mi reco all’agenzia per acquistare il biglietto del bus per domani mattina: ebbene si, l’avventura a Pakse è esaurita ed è arrivato il momento di spostarmi. La prossima destinazione sarà Savannakhet, una delle località più popolose del Laos. Trovo posto senza problemi al costo di 65.000 Lao Kip. A questo punto faccio rientro in stanza per rilassarmi un’oretta e per la solita doccia. Esco di nuovo e compro le ultime bibite per la serata al supermarket e poi mi fiondo a cena nel ristorante della prima sera che oggi ha riaperto i battenti dopo la chiusura di ieri. Dopo aver mangiato e bevuto saluto la cittadina che mi ha ospitato per tre giorni e torno in hotel per preparare il borsone perchè domani si parte presto e non sarà una passeggiata di salute.

GIORNO 4 – SAVANNAKHET

La sveglia suona alle 5:50 per quello che sarà un giorno abbastanza tosto in quanto non avrò una stanza per passare la notte, ma questo lo spiegherò più avanti. Sistemo tutto e controllo di non essermi dimenticato nulla, così scendo ed aspetto il Tuk Tuk (compreso nel prezzo del biglietto del pullman) che mi accompagnerà al punto indicato. Stavolta l’orario in cui si presenta il mezzo di trasporto è puntuale e c’è già sopra una ragazza; parlando scoprirò che è olandese e che sta viaggiando nel Sud Est Asiatico già da tre mesi senza biglietto di ritorno. E pensare che io ho un tour ferreo da rispettare e soprattutto date precise per ripresentarmi in ufficio…; in casi come questi sale una discreta invidia e credo sia anche lecito. Credo di essere diretto all’autostazione di Pakse, che è situata a diversi kilometri di distanza, ma non è così: veniamo portati in un punto a casaccio lungo la strada vicino allo stadio e lì aspettiamo qualche minuto. Arriva un bus che definire sgangherato è un complimento; l’autista del Tuk Tuk ci fa segno che quello è il nostro, così saliamo a bordo dopo aver riposto i rispettivi zaini nel portabagagli. La cosa brutta dei trasporti in Laos è che sai più o meno quando parti ma mai quando arrivi. Questo pullman dovrebbe essere a Savannakhet alle 11:30, ma l’agenzia già mi ha avvertito che non succede mai e che si va ben oltre. Il viaggio tutto sommato scorre abbastanza bene: ho modo di osservare i villaggi-mercato lungo il percorso e la natura allo stato brado di questa nazione; ma ho anche modo di fare la conoscenza del pessimo stato di manutenzione delle strade che la attraversano: le buche sono all’ordine del giorno e certe volte si alternano pezzi di sterrato all’asfalto, già di per sè messo maluccio. L’aria condizionata è un lusso ed al suo posto ci sono due metodologie per avere meno caldo: la prima è viaggiare per certi tratti con le portiere aperte mentre la seconda è un sistema di ventilatori (sì…proprio quelli che abbiamo tipicamente nelle nostre case) che ruotano sul soffitto.

Ma la cosa davvero fenomenale che dà un plauso all’organizzazione dei laotiani si ha durante le soste programmate: quando il bus si ferma per 10-15 minuti si sopperisce all’assenza di Autogrill con l’ingresso sul mezzo di venditori con in mano cibarie di ogni tipo: si va dai polli infilzati su uno spiedo (sapientemente riposti dentro a sacchetti di plastica trasparente in caso di acquisto) a contenitori pieni di frutta fresca già sbucciata e tagliata passando per pannocchie abbrustolite e quant’altro. E’ davvero incredibile vedere l’organizzazione di questa gente in episodi come questo. Prendo di mira una ragazza che occupa un sedile alla mia portata visiva e noto che in tre soste si è presa due sacchetti di frutta ed una pannocchia da sgranocchiare, così ammazza il tempo e fa girare l’economia. Il tempo passa ed arrivo a destinazione alle 12:30, quindi il ritardo è stato circa di un’ora. Sono collegato col maps e faccio cenno all’autista di fermarsi nel punto a me più congeniale (da queste parti non sono fiscali come in Europa e si può salire e scendere dove si vuole). Da qui raggiungo una struttura prenotata “day use”: ho pagato una stanza 8 euro giusto per avere un posto sicuro dove appoggiare il borsone e per potermi fare una doccia (tempo permettendo) prima di correre al bus notturno previsto per stasera stessa. Tra l’altro devo anche ritirare il ticket che ho fatto pre-acquistare proprio dal gestore della stanza dopo averlo contattato via e-mail. All’inizio non si è  fidato ed ha rischiato di compromettere tutto il resto del mio tour, ma poi l’ho convinto e mi ha aiutato. Tutto scorre liscio come l’olio ed inizialmente mi dispiace non poter dormire lì: si tratta di uno spazio in cui ci sono diversi bungalows indipendenti in legno e sembra veramente un bijoux. Poi però i nodi vengono al pettine e capisco probabilmente il perchè di un prezzo così basso: lasciare aperta la porta due minuti netti fa entrare decine e decine di zanzare…una cosa abnorme. Addormentarsi lì vorrebbe dire prendersi una milionata di pizzichi da quelle simpatiche creaturine e non ci tengo proprio. Prendo il dovuto ed esco alla scoperta della località che mi ospita iniziando dall’edificio che occupa il Museo cittadino; proseguo poi con lo Xaiyamoungkhoun Temple (davvero molto bello) e dal Tempio Vietnamita.

Museo di Savannakhet

Museo di Savannakhet

Xaiyamoungkhoun Temple - 1

Xaiyamoungkhoun Temple – 1

Xaiyamoungkhoun Temple - 2

Xaiyamoungkhoun Temple – 2

Xaiyamoungkhoun Temple - 3

Xaiyamoungkhoun Temple – 3

Tempio Vietnamita

Tempio Vietnamita

Il prossimo punto di interesse è la Chiesa Cattolica di Santa Teresa che mi stupisce molto per aspetto e dimensioni: proprio non me l’aspettavo così, bensì qualcosa di peggio. Arriva anche qui il momento di affacciarmi sul Mekong dove resterò per un po’ poichè dovrò percorrerlo a salire. Anche qui, come a Pakse, il fiume è mastodontico e la costruzioni sulla sponda opposta appaiono piccole piccole a causa della distanza. Raggiungo ed osservo l’Ho Chi Minh Memorial e poi entro a visitare il complesso che ospita il Wat Sainyaphum, anch’esso degno di nota.

Chiesa Cattolica di Santa Teresa

Chiesa Cattolica di Santa Teresa

Ho Chi Minh Memorial

Ho Chi Minh Memorial

Wat Sainyaphum - 1

Wat Sainyaphum – 1

Wat Sainyaphum - 2

Wat Sainyaphum – 2

Wat Sainyaphum - 3

Wat Sainyaphum – 3

La passeggiata va avanti in cerca del locale Museo dei Dinosauri (quando lo trovo sarà un edificio come un altro, per cui niente di eclatante), ma la cosa più strana è che lungo il percorso, in pieno asfalto dissestato, incrocio un serpente verde. Immagino che fosse uno di quelli non velenosi perchè appena mi vede inizia a scappare via, però assicuro che non è piacevole trovarsi un rettile del genere così vicino. Cercando di non farmi venire la fobia che mi costringerà a camminare guardando per terra ad ogni passo, proseguo il mio percorso studiato a tavolino fino ad arrivare nella zona dell’Old Stadium. Sinceramente questo nome mi ha incuriosito fin da subito e mi sono chiesto più di una volta quale fosse il significato: appena ci metto piede ho immediatamente la soluzione. Dove in passato c’era il vecchio stadio di Savannakhet, oggi sorge una bellissima area pedonale e ciclabile molto curata (anche adesso sono presenti addetti alla sistemazione del verde). Ciò che resta dell’impianto che fu è composto da una tribuna e da un arco col simbolo olimpico e l’emblema del Laos posti su quello che quasi certamente era l’ingresso principale.

Old Stadium - 1

Old Stadium – 1

Old Stadium - 2

Old Stadium – 2

Old stadium - 3

Old stadium – 3

Old stadium - Tribuna ancora in piedi

Old stadium – Tribuna ancora in piedi

Old Stadium - sull'arco di ingresso

Old Stadium – sull’arco di ingresso

Accanto si apre il “Nouhak Phoumsavanh Memorial Park, cioè un’altra zona pedonale che, a differenza della precedente, è completata dalla statua in onore dell’omonimo ex presidente laotiano che durò in carica dal 1992 al 1998. Una serie di simpatiche panchine completano l’offerta.

Nouhak Phoumsavanh Monument

Nouhak Phoumsavanh Monument

Nouhak Phoumsavanh Memorial Park - Panchina

Nouhak Phoumsavanh Memorial Park – Panchina

Il prossimo punto di interesse è anch’esso molto vicino e si tratta del Tempio Jomekeo in cui uno degli edifici pare ancora in via di rifinitura dato che ha i dettagli perfetti, ma la parete in muratura ancora grezza. Vedere per credere.

Jomekeo Temple - 1

Jomekeo Temple – 1

Jomekeo Temple - 2

Jomekeo Temple – 2

Jomekeo Temple - 3

Jomekeo Temple – 3

Da adesso inizio una passeggiata abbastanza lunga (5,6 kilometri tra andata e ritorno) che mi farà vedere nell’ordine il Tempio Cinese, il Tempio Houameuang che trovo curatissimo in ogni suo aspetto, ed infine il Tempio Nakae.

Tempio Cinese

Tempio Cinese

Tempio Houameuang - 1

Tempio Houameuang – 1

Tempio Houameuang - 2

Tempio Houameuang – 2

Tempio Houameuang - 3

Tempio Houameuang – 3

Tempio Nakae

Tempio Nakae

Torno indietro nella medesima direzione dalla quale sono arrivato, ma stavolta eseguo una deviazione verso sinistra dirigendomi verso il Tempio Sounantha che purtroppo è chiuso causa lavori di ristrutturazione. Mi resta solo da trovare ed osservare il Tempio di Tanmar per ritenere concluso il giro e ci riesco. Guardo l’orologio e mi rendo conto di essere ancora in tempo sia per mangiare qualcosa per cena che per tornare in stanza a farmi la tanto sognata doccia, ma solo dopo aver cambiato qualche soldo in un market cinese che applica un tasso corretto. Una particolarità poco gradita di Savannakhet è la quasi totale assenza di ristoranti come quelli che avevo trovato a Pakse; il 99% della ristorazione si riduce ai banchetti dello street food e per uno che mangia una volta al giorno è abbastanza riduttivo. Cammino per un bel po’ finchè trovo ciò che cerco, anche se il posto in cui mi siedo somiglia di più ad un banco accroccato che ad una sala. Per oggi va così e me lo faccio bastare; per fortuna che ciò che mi danno è buono e, accompagnato dalla mitica Beerlao gelata, toglie ogni male. Rientro in stanza e sistemo tutto quanto (sia me stesso che lo zaino). Uscendo con le chiavi in mano incrocio una coppia di giovani italiani che conversano col gestore dei bungalows: anche loro sono diretti all’autostazione come me, solo che si stanno facendo prenotare il Tuk Tuk. Io, come sempre, preferisco fare i due kilometri che mi separano dalla destinazione con una sana passeggiata digestiva. Raggiungo il punto convenuto e, ticket alla mano, trovo il pullman che partirà alle 20:30 e che dovrebbe tenermi a bordo fino alle 8:00 del mattino seguente. Il condizionale è d’obbligo quando si parla di trasporti in Laos ed ormai lo so bene. Salgo sul bus e noto che, a differenza dei “colleghi” europei ed iraniani, questo mezzo notturno non ha sedie, ma direttamente degli spazi che si potrebbero definire letti, anche se non mi azzardo a farlo perchè un piano su cui è appoggiato un misero materassino non è un vero letto. Quindi niente sedili, nè dritti nè reclinabili, ma aree “matrimoniali” in cui sdraiarsi e provare a dormire. I posti sono tutti occupati ed a me tocca dividere il giaciglio con un uomo del posto (adesso capisco perchè il gestore della struttura mi ha chiesto se fossi uomo o donna prima di comprarmi il biglietto). Al di là del corridoio (quindi a 20-25 centimetri da me, in pratica) dorme una coppia in cui lei è una laotiana e lui un norvegese col quale mi metto a parlare. E’ simpatico e mi mostra tante magnifiche foto della “sua” Alesund, dandomi anche alcune dritte per visitare il suo paese spendendo poco. Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi: ci sono oltre 40 persone su questo pullman…e l’unico elemento che russa in maniera animalesca per ogni singolo secondo di tutta quanta la notte è proprio il norvegese. E’ una jattura bella e buona e non c’è altro termine per definirla, o forse un residuo della maledizione dell’acqua santa del Wat Phou che non ha esaurito i suoi malefici con la craniata. Il viaggio scorre in maniera mostruosa, un po’ per le buche clamorose che ci sono per strada che fanno quasi sobbalzare ed un po’ per questo troglodita al quale manca solo l’elmetto da vichingo con le corna. Fortuna vuole che l’arrivo non avviene alle 8:00 come previsto, bensì alle 6:00; in questo modo ho risparmiato due ore di insopportabile rumore continuo nelle orecchie.

GIORNO 5 – VIENTIANE

Eccomi nella capitale del Laos; sinceramente trovarmi qui così di primo mattino non era previsto e vedo un po’ tutti che sono spaesati. In genere ci sono forti ritardi e non anticipi come questo, ma ormai è andata. Vedo la coppia di italiani: lui abbraccia forte lei per farle forza (sicuramente è stremata per la notte e forse per il tour in toto); io lo dico sempre che certe cose non vanno improvvisate e se solo si pensa di non potercela fare occorre essere sinceri con se stessi e restare a casa oppure andare una settimana al mare in resort. Sono già d’accordo con l’hotel del mio arrivo in mattinata, ma adesso è decisamente troppo presto per andare in centro, così decido di mettermi su una sedia ed aspettare come minimo le 7:30 – 8:00 prima di partire.  Nel frattempo studio la situazione: avevo letto da casa che i taxi ed i Tuk Tuk di Vientiane sono abbastanza furbi e tendono a fregare i viaggiatori proponendo cifre da capogiro. D’altra parte un mezzo mi è necessario perchè mi trovo alla Southern Bus Station, cioè a circa 10 kilometri dal cuore della città. Alla fine, verso le 8:20, trovo come sempre la soluzione che fa per me: vedo un signore anziano che sta raccattando persone a destra ed a manca per caricare al massimo il suo Tuk Tuk; quel gesto mi fa capire che si tratta non di un mezzo esclusivo, bensì condiviso. Faccio per avvicinarmi e gli domando quanto vuole fino al capolinea; mi fa cenno con la mano e capisco che chiede 5.000 Lao Kip a testa, cioè circa 50 centesimi di euro…cifra ben diversa dagli 80.000 – 100.000 Lao Kip richiesti dai “fregaroli”. Non ci penso su due volte e carico lo zaino a bordo, così anche stavolta me la cavo alla grande. Il tragitto mi fa attraversare gran parte delle attrazioni di Vientiane che ho in programma di visitare, così mi faccio pure una veloce infarinatura sul dove dirigermi. Soprattutto ho modo di scoprire che questa è una vera e propria città con tanto di vialoni a senso unico, traffico caotico e rumori vari, cosa ben diversa da ciò che ho visto fino ad ora. Scendo al Morning Market, ultima fermata del Tuk Tuk. Per me va benissimo: mi trovo a 1,4 kilometri dalla stanza e percorro questa distanza a piedi sotto un caldo sole. Al mio arrivo devo aspettare circa 25 minuti perchè la mia camera è in fase di pulizia, ma non c’è problema. Anzi, approfitto di questo tempo per acquistare direttamente dalla reception il biglietto per il bus che mi avrebbe fatto cambiare località domani mattina. Scopro con mia grande delusione che la prima corsa utile con destinazione Vang Vieng partirà alle 10:00 e che servono circa tre ore abbondanti per arrivare. Avrei preferito una partenza alle 7:00 o giù di lì, ma stavolta posso solo “attaccarmi”. Prendo possesso della camera e mi sistemo un po’ dopo la notte passata in bus, ma esco quasi subito alla scoperta della capitale. Inizio con il Wat Chan e con il Tempio Xyeng Nieun che sono ubicati molto vicini uno con l’altro.

Wat Chan - 1

Wat Chan – 1

Wat Chan - 2

Wat Chan – 2

Tempio Xyeng Nieun

Tempio Xyeng Nieun

Subito dopo attraverso la strada ed entro nel grande parco che prende il nome da Chao Anuvong che fu l’ultimo re del Regno di Vientiane, in carica dal 1805 al 1828. Una grandissima statua che si trova proprio qui è dedicata a lui; molto singolare è la base della scultura stessa che è completamente coperta in ognuno dei quattro lati da miniature come queste che seguono:

Base del Monumento a Chao Anuvong

Base del Monumento a Chao Anuvong

Monumento a Chao Anuvong

Monumento a Chao Anuvong

Un laghetto formato da acqua color marrone si salva da mie spiacevoli critiche solo grazie ai fiori che galleggiano sulla sua superficie rendendolo un tantino più gradevole.

Laghetto color cacchina

Laghetto color cacchina

I fiori - unica cosa che si salva del laghetto

I fiori – unica cosa che si salva del laghetto

Sono diretto verso il Wat That Kao, un tempio che come particolarità ha un grande Buddha sdraiato. In effetti è degno di nota, però lo spazio risicato che c’è tra la statua ed un edificio proprio di fronte ad essa non permette una foto decente. Torno su strada, cerco e trovo il parco dedicato all’ex Re di Luang Prabang e del Laos Sisavang Vong, al quale è dedicata anche una scultura.

Wat That Kao

Wat That Kao

Monumento a Sisavang Vong

Monumento a Sisavang Vong

Proprio qui dietro ci sono due nuovi templi: il primo è ubicato in un’area abbastanza estesa e prende il nome di Wat Si Muang, mentre il secondo è più piccolo ma non meno scenico: sto parlando dell’ Horl Luk Mueang. La Chiesa Cattolica del Sacro Cuore è il prossimo punto di interesse che vedo e la cosa che mi fa sorridere è che il 30 gennaio c’è ancora l’albero di Natale.

Wat Si Muang - 1

Wat Si Muang – 1

Wat Si Muang - 2

Wat Si Muang – 2

Wat Si Muang - 3

Wat Si Muang – 3

Horl Luk Mueang

Horl Luk Mueang

Chiesa del Sacro Cuore

Chiesa del Sacro Cuore

Proseguo la passeggiata vedendo e superando il Wat Kao Nhot ed arrivo esattamente nel punto in cui da una parte c’è l’ingresso per l’ Ho Pha Keo e dall’altra quello per il Tempio Sisaket, entrambe attrazioni che richiedono un ticket per poter accedere. Come spesso avviene nei paesi più poveri, il prezzo è più basso per i laotiani rispetto agli stranieri; parliamo comunque di pochi centesimi di euro di differenza e non è il caso di prendersela. Il Palazzo Presidenziale è ad un tiro di schioppo, ma è chiuso da una cancellata enorme e ben solida; ci sono dei piloncini di cemento che teoricamente non permetterebbero di avvicinarsi alle grate neanche per scattare una foto, ma dopo una sbirciatina nei dintorni mi accorgo che non c’è nessuno e procedo lo stesso.

La foto parla da sola...

La foto parla da sola…

Palazzo Presidenziale

Palazzo Presidenziale

Reputo questo come uno spartiacque per la mia visita: effettuerò una deviazione per vedere un’altra zona della città per poi tornare qui e riprendere da dove sto per lasciare. Il percorso mi porta ad ammirare il That Dam (Stupa Nero è la traduzione dalla lingua locale): è uno dei rari monumenti funerari che sono pervemuti ai giorni nostri dopo l’invasione di quest’area avvenuta nel 1827. La sua forma è molto simile a quella degli Stupa “moderni” ma si vede benissimo che è molto molto antico.

That Dam

That Dam

Prendo “Ave Lane Xang” e punto il mio obiettivo verso due templi. Il primo è il Phat Tich, non facilissimo da fotografare perchè piuttosto racchiuso da una fitta vegetazione; il secondo è invece ben più vasto e con elementi degni di passarci un po’ di tempo in più: il Wat That Phoun mi stupisce davvero.

Wat That Phoun - 1

Wat That Phoun – 1

Wat That Phoun - 2

Wat That Phoun – 2

Wat That Phoun - 3

Wat That Phoun – 3

E’ ora il momento per passeggiare nell’area pedonale del Patuxay Park: il Patuxay Monument mi dà il benvenuto e mi regala un colpo d’occhio fenomenale. Dietro di esso c’è una fontana attualmente spenta (che peccato…); ancora più avanti noto una strana scultura con degli elefanti come protagonisti della quale non c’è alcuna traccia nelle foto di Google Maps che avevo visto da casa; l’area si conclude con il “Gong della pace nel mondo”.

Patuxay Monument

Patuxay Monument

Scultura nel Patuxay Park

Scultura nel Patuxay Park

Patuxay Park

Patuxay Park

Gong della pace nel mondo

Gong della pace nel mondo

Adesso mi aspetta una discreta passeggiata che però affronto senza problemi; il percorso serve per osservare prima il “People Security Museum” e poi il “Lao People’s Army History Museum”; tra i due edifici noto anche un’originale decorazione di una rotonda stradale.

People Security Museum

People Security Museum

Lao People's Army History Museum

Lao People’s Army History Museum

Rotonda stradale

Rotonda stradale

Entro nel Nong Sa Phang Lenh Park che ospita il Monumento dedicato ai martiri di guerra. Esco dall’area verde e finalmente giungo nel bel mezzo di una zona ricca di punti di interesse che è quella del Pha That Luang. Solo accedendo posso dire senza paura di essere smentito che ciò che ho intorno è puro spettacolo: templi curatissimi, la scultura in onore di Re Setthathirat I° (non riporto il “nome regale” perchè servirebbero due righe intere per quanto è lungo e complesso) considerato uno dei maggiori sovrani della storia di questa terra, una statua di Buddha sdraiato finalmente senza impedimenti per poterla fotografare, ma soprattutto il Grande Stupa mi fanno credere per qualche minuto di vivere in un sogno.

Monumento ai Martiri di Guerra

Monumento ai Martiri di Guerra

Tempio del complesso Pha That Luang - 1

Tempio del complesso Pha That Luang – 1

Tempio del complesso Pha That Luang - 2

Tempio del complesso Pha That Luang – 2

Re Setthathirat I°

Re Setthathirat I°

Buddha Sdraiato

Buddha Sdraiato

Grande Stupa

Grande Stupa

Quando finisco di osservare tutto a dovere ci metto lo stesso un po’ di tempo prima di andare via, ma il tour alla scoperta della capitale del Laos deve continuare. Un’altra passeggiata non indifferente mi aspetta, ma stavolta mi metto doppiamente di buona lena perchè sto dirigendomi verso una piccola ma significativa esposizione: il MAG UXO. MAG sta per “Mines Advisory Group”, mentre UXO è l’abbreviazione inglese che indica “Unexploded Ordnance”, vale a dire bombe inesplose. Durante la guerra del Vietnam, il Laos fu la zona in cui gli STATI UNITI D’AMERICA gettarono il maggior numero di bombe a grappolo dell’intera area oggetto di quell’insulso conflitto. Ad oltre quarant’anni di distanza dalla fine delle ostilità, la gente continua ancora a morire o, nella migliore delle ipotesi, a perdere arti a causa dell’esplosione tardiva di tali ordigni. E’ una cosa semplicemente abominevole ed altrettanto schifoso è il fatto che nel nostro paese (ormai filo-americano al punto da raccontare bugie o omettere la triste realtà) non c’è informazione a riguardo. Io, storicamente anti-USA per eccellenza, ho voluto approfondire visitando il mini-museo (si tratta di una stanza e niente più) rimanendo a bocca spalancata dall’orrore che ho letto e visto. Nel “paese della cuccagna a stelle e strisce” stanno ingrassando dalla ricchezza ogni giorno di più e questa povera gente, a causa degli americani guerrafondai e bombaroli, non può coltivare i campi per paura di rimanere mutilata o perdere la vita. Come si fa ad essere così ciechi di fronte alla storia? Ci ricordiamo solo cosa ci pare e non che questi signori ficcano il loro muso dappertutto senza alcun diritto e, quando le cose si mettono male, sono i primi a causare stragi e catastrofi lanciando atomiche, bombe a grappolo e chi più ne ha più ne metta. Io resto della mia idea e mi schiero CONTRO questa nazione senza possibilità di cambiare idea. Inutile dire che quando esco da quel piccolo spazio sono ancora inorridito e resterò così per un bel po’. E’ il momento per la terza ed ultima parte della visita di Vientiane, così torno nella zona del That Dam (esattamente dove avevo effettuato la deviazione in precedenza) e da lì vado avanti. Ci sarebbe una moschea ma se ne vede solo l’ingresso: sta in una via chiusa da un centro privato ed è vietato accedere. Il vicino Namphou Park è una moderna area con localini in circolo ed una fontana al centro che si accende solo di sera e per questo motivo ci tornerò più tardi. Mi imbatto poi nell’edificio che ospita la “National Cultural Hall” prima di immergermi in una serie di Templi uno dopo l’altro: Wat Mixai, Wat Haysoke, Wat Ong Teu e Wat Inpeng.

National Cultural Hall

National Cultural Hall

Wat Mixai

Wat Mixai

Wat Ong Teu

Wat Ong Teu

Wat Inpeng - 1

Wat Inpeng – 1

Wat Inpeng - 2

Wat Inpeng – 2

L’ultimo obiettivo per la giornata di oggi è il parco che ospita la statua in onore dell’ex Re Fa Ngum (evitiamo facili battute…)  ed una piccola fontana con elefanti.

Ex Re Fa Ngum

Ex Re Fa Ngum

Fontana con Elefanti

Fontana con Elefanti

Colgo l’occasione di riposare le mie gambe sedendomi all’ombra sulle panchine del parco stesso prima di ripartire in direzione dell’hotel (dopo aver fatto il pieno delle solite bibite) poichè si sta facendo buio. Mi aspetta la doccia, il cambio d’abiti e la nuova uscita che stavolta sarà più intensa delle precedenti serate. Per prima cosa cerco e trovo un posto per mangiare e poi mi perdo letteralmente nell’enorme mercato che viene allestito ogni sera nel parco lungo il Mekong: centinaia di bancarelle che vendono di tutto a prezzi stracciati, ancora più bassi di quelli che ricordavo in Thailandia. Fortuna vuole che io non sono un amante dello shopping altrimenti ci avrei lasciato il portafogli. Colgo l’occasione per vedere la scultura dedicata a Chao Anuvong illuminata a giorno ed infine la fontana del NamPhou Park come mi ero promesso in precedenza. Poi…cala la notte anche oggi.

Monumento a Chao Anuvong in notturna

Monumento a Chao Anuvong in notturna

Fontana del Namphou Park

Fontana del Namphou Park

 

GIORNO 6 – VANG VIENG

La sveglia oggi è comoda comoda per le 8:15. Ho già tutto pronto e verranno a prendermi fuori dall’hotel fra le 9:00 e le 9:20 per portarmi al pullman diretto alla nuova destinazione. Una tappa questa che ho scelto quasi all’ultimo momento: ero indeciso tra Vang Vieng e Phonsavan, luogo di partenza per l’escursione alla Piana delle Giare. Ho optato per la prima località sia per motivi logistici che di interesse personale. Ma il dubbio è stato grande e non posso non ammetterlo: è risaputo che Vang Vieng  sia una nota cittadina votata al turismo, soprattutto per giovani e giovanissimi che trovano qui un sacco di divertimenti ed attività tra le più disparate. La più famosa tra tutte è probabilmente il tubing che consiste nel piazzarsi su di una ciambella gonfiabile e farsi trasportare dalla corrente del fiume per circa tre ore, magari con una buona birra locale in mano. A dire il vero questa cosa mi sarebbe anche piaciuta, ma non me la sono potuta permettere causa pessimo orario di arrivo. La partenza da Vientiane è alle 10:00 (la prima disponibile della giornata) per un viaggio che ha dell’incredibile in quanto a qualità della strada: per carità, i panorami offerti dal Laos in questa parte sono fantastici perchè si passa tra villaggi, montagne, risaie ed altro ancora…ma l’asfalto è spesso un optional e transitare con un mezzo che porta 52 persone in tali condizioni è un’esperienza da ricordare, credetemi. Comunque sia, prima delle 13:45 non scendo all’autostazione ed obiettivamente è tardi, calcolando che alle 18:30 di ogni giorno cala il buio. Mi fiondo in hotel a prendere la stanza ed a lasciare lo zaino (fortunatamente dista solo 400 metri) e poi decido di passare il tempo nell’unico modo per me possibile: mentre tutti si uniscono a Tuk Tuk organizzati, noleggiano motorini o quad vari, io raggiungerò la Blue Lagoon a piedi camminando per 15 kilometri (7,5 a tratta) tra la natura di queste magnifiche montagne. Ovviamente ci metto più di un’ora per volta, ma ne vale assolutamente la pena. Poco dopo l’inizio del cammino devo superare il ponte “Namsong”, costruito interamente in legno ed a pedaggio; eh sì…pagano pure i pedoni. Si parla di 4.000 Lao Kip, cioè 40 centesimi di euro, però la cosa è da sottolineare. Per il resto è tutto un panorama che gli altri immancabilmente si perdono. Raggiungo la Blue Lagoon e pago l’ingresso di 10.000 Lao Kip. E’ un piccolo specchio d’acqua di colore celeste tendente al verde che invita solo ad una cosa: tuffarsi. La giornata è caldissima e la zona è attrezzata per potersi buttare addirittura dal ramo di un albero discretamente alto. Di turisti ce ne sono a bizzeffe e stanno già “giocando”, per cui non me lo faccio dire due volte e provo anch’io: l’acqua non è calda come quella del mare in estate, però l’esperienza vale tantissimo.

Blue Lagoon - 1

Blue Lagoon – 1

Blue Lagoon - 2

Blue Lagoon – 2

Ad un certo punto guardo l’orologio e mi rimetto in cammino verso il centro città (se così lo si può definire) perchè di questo posto sono famose le foto al tramonto ed io ci devo assolutamente essere. Durante il percorso ho la fortuna di vedere molto da vicino un paio di mongolfiere che stanno volando in cielo.

Mongolfiere a Vang Vieng - 1

Mongolfiere a Vang Vieng – 1

Mongolfiere a Vang Vieng - 2

Mongolfiere a Vang Vieng – 2

Il secondo ed ultimo passaggio sul ponte “Namsong” mi serve doppiamente, perchè mi fermo proprio lì a scattare delle bellissime immagini del panorama mentre il sole sta calando, così anche questa è fatta.

Le Montagne di Vang Vieng al tramonto - 1

Le Montagne di Vang Vieng al tramonto – 1

Le Montagne di Vang Vieng al tramonto - 2

Le Montagne di Vang Vieng al tramonto – 2

Mi metto a fare un giro per le vie di Vang Vieng e non posso non notare che probabilmente in questo posto non ci sono abitazioni, ma solo negozi, posti per dormire per non residenti che vanno dagli ostelli agli hotels, agenzie di escursioni, ristoranti, agenzie di cambio, centri massaggi e tutto ciò che ne compete. Si confermano quindi le mie paure quando ho dovuto scegliere se venire qui oppure no. Però la verità sta sempre nel mezzo: non venendo avrei evitato questa piccola bolgia commerciale, ma mi sarei perso tante belle immagini che resteranno per sempre nella mia mente oltre che nei miei archivi.

Scorcio di Vang Vieng

Scorcio di Vang Vieng

Il mercato serale in allestimento

Il mercato serale in allestimento

Wat Si Sou Mang - 1

Wat Si Sou Mang – 1

Wat Si Sou Mang - 2

Wat Si Sou Mang – 2

Wat Si Sou Mang - 3

Wat Si Sou Mang – 3

Colgo l’occasione per cambiare qualche soldo al peggior tasso di tutto il Laos (aeroporti esclusi) ed acquisto il ticket del minivan (90.000 Lao Kip) che domani mi porterà via di qua per quella che sarà l’ultima destinazione del mio tour; anche stavolta ci rimango un po’ male quando scopro che la partenza iniziale è alle 9:00. Calcolando che ci vogliono quattro ore per raggiungere Luang Prabang speravo in qualcosa di più mattutino. Prima di rientrare in camera decido di strafare e compro una Beerlao extra al market bevendola per finire la passeggiata; seguo doccia, cambio di abiti e cena dove tracanno un’altra bottiglia di Beerlao. Io non bevo mai alchol quando sono a casa…per cui dopo un rapido giro extra per il mercato serale che nel frattempo è stato allestito, mi rendo conto che è meglio chiudere qui definitivamente la giornata. Infatti una volta in stanza ho giusto il tempo di sistemare un po’ di cose e poi crollo in un sonno infinito causa “fumi” della birra.

GIORNI 7, 8 E 9 – LUANG PRABANG

La sveglia oggi è alle 8:15. Devo solo rimettere a posto il bagaglio (cosa che non ho potuto fare ieri causa sonno profondo) ed aspettare il minivan che passa direttamente alla reception dell’hotel. Partiamo abbastanza puntuali per gli standard del posto e, anche stavolta, trovo nei sedili accanto al mio una coppia di italiani. L’agenzia mi ha venduto il ticket dicendomi che saremmo passati per la “strada nuova” ed io materializzo nella mia mente l’assenza di buche; peccato che la “new road” non avrà inizio prima di qualche decina di chilometri di asfalto a gruviera o direttamente non presente. Fortuna vuole che il minivan sente meno i contraccolpi rispetto al bus da 52 posti. Altri paesaggi meravigliosi si susseguono lungo il percorso fino alle ore 13:30, momento in cui l’autista recita la parola “finish” e ci scarica giù. Orientandomi col Maps capisco dove sono e mi dirigo verso l’ultimo hotel di questo bellissimo giro nel quale passerò due notti. Da qui a domenica pomeriggio alle 15:00 avrò tutto il tempo che voglio per godermi questa città e soprattutto per scoprire se inserirla nel  Patrimonio UNESCO sia stato giusto oppure no. La prima particolarità che noto di questo posto (oltre al fatto che ho un mega-market a 100 metri dalla camera e ciò mi rende felice) è che molto spesso ci si devono togliere le scarpe per entrare in determinate attività commerciali, cosa che in tutto il resto del paese non succede. Mio malgrado mi adeguo. La camera è bellissima, molto grande e tutta in legno; noto che la doccia è diversa dalle precedenti ed è più all’europea, cioè senza la macchinetta esterna che genera acqua calda tramite corrente elettrica: qui ci sono direttamente le due manopole del freddo e del caldo. Per la prima volta ho una cassetta di sicurezza, così potrò evitare di dover portare tutto con me ed anche questo è un bene. Quindi le cose si mettono già per il meglio. Prendo come sempre ciò che mi serve ed esco per una prima esplorazione dell’area. Voglio però fare una precisazione: dato che avrò 48 ore piene per visitare questa località non farò stavolta il diario di ciò che è successo per filo e per segno come sono abituato. Mi limiterò a descrivere il posto e ad indicare cosa c’è da vedere perchè, cosa più unica che rara, stavolta non è necessario correre. Bastano pochi passi per capire che la tanto rinomata Luang Prabang è famosa per motivi più che validi: in parole molto spicciole la posso definire come una bomboniera, riferendomi ovviamente al centro; man mano che ci si allontana si torna nel Laos che già conoscevo. Ma la parte storica ha molte particolarità degnissime di nota. Per prima cosa si trova alla confluenza tra il fiume Nang Khan e l’immenso Mekong che ritrovo dopo averlo lasciato a Vientiane: il panorama da ambo i lati del centro abitato è fenomenale.

Veduta del Nang Khan

Veduta del Nang Khan

Alla confluenza tra Nang Khan e Mekong

Alla confluenza tra Nang Khan e Mekong

Scorcio sul Mekong

Scorcio sul Mekong

In secondo luogo gli edifici qui presenti sono tutti mantenuti alla perfezione, sia le costruzioni in stile coloniale che quelli visibilmente più recenti. Tutto è curato ai massimi livelli, persino le insegne delle attività commerciali, tutte fatte usando lo stesso stile e lo stesso legno; la sola cosa che cambia è ovviamente il nome del negozio che rappresentano. Ma non è ancora finita: l’intero agglomerato è immerso nel verde al punto di sembrare un giardino a cielo aperto; e infine, ultimi ma non meno importanti, i templi: sono tantissimi e tutti stupendi, molto simili tra loro ma ognuno con le proprie caratteristiche. Una delle strade che compongono il centro ne ha uno dopo l’altro a perdita d’occhio, difficili anche da distinguere ed addirittura da contare perchè dove ne finisce uno comincia il successivo e così via. Ma non è tutto oro quello che luccica perchè ci sono anche delle note dolenti, almeno a mio parere. In primis, tutta questa attenzione e cura attira un numero molto alto di turisti, al punto da superare la capitale Vientiane; tanta gente significa tanti alloggi da dover mettere a disposizione, ed ecco che la maggior parte delle costruzioni del centro storico di Luang Prabang è dedicata alla ricettività e questa cosa non è proprio il massimo perchè vagare per le vie e trovare ovunque cartelli che indicano camere fa perdere l’essenza e la naturalezza di un qualsiasi ambiente rendendolo di fatto artificiale. Lascio per ultimo il fatto che ho battezzato questo luogo come “la città contro sole”; il motivo è semplice: fin da metà mattinata, il 95% dei punti di interesse ha le facciate all’ombra ed il sole alle spalle. Ciò genera non poche difficoltà a chi cerca di scattare delle belle fotografie; non riesco proprio a spiegarmi del perchè di questa scelta, probabilmente dettata da importanti motivi religiosi. Fatto stà che devo scegliere bene i momenti della giornata in cui muovermi per evitare di buttare via gli attimi più congeniali ai miei scopi. Durante la stagione secca (quindi per sei mesi all’anno) sono presenti due ponti realizzati interamente in bamboo da alcune famiglie del posto; tali manufatti vengono poi smantellati quando inizia la stagione delle piogge perchè la potenza delle acque li spazzerebbe via. Per passare su entrambi si paga un pedaggio di 5.000 Lao Kip che, a detta di un cartello, serve a dare un piccolo stipendio a coloro che hanno effettuato la costruzione.

Primo Ponte di Bamboo

Primo Ponte di Bamboo

Secondo Ponte di Bamboo

Secondo Ponte di Bamboo

Perchè si paga un pedaggio

Perchè si paga un pedaggio

Proprio dove il Nang Khan si getta nel Mekong è presente un’area verde di piccole dimensioni, un luogo di pace con qualche panchina ed un bar che serve per riposarsi e per ripararsi all’ombra grazie agli alberi che coprono la forte luce del sole che picchia da queste parti. Cambiando completamente versante, nella zona più lontana della città si possono ammirare due monumenti: uno è dedicato all’ex Presidente Kaysone Phomvihane e l’altro all’ex Presidente Souphanouvong.

L'ex Presidente Kaysone Phomvihane

L’ex Presidente Kaysone Phomvihane

Altra cosa interessante di Luang Prabang è la presenza in centro di una vera e propria collina: è alta un centinaio di metri e vi si accede da due scalinate distinte, una di 328 e l’altra di 355 gradini abbastanza ripidi e faticosi da percorrere; l’ingresso è a pagamento e, oltre alla presenza di sculture della religione Buddhista, ha anche un tempio sulla sommità e uno stupa dorato. Inutile ricordare che dall’alto si può avere una vista fantastica della città, dei fiumi che la circondano e del panorama nel suo insieme. Altra visita molto interessante è quella al Museo del Palazzo Reale, ovviamente con biglietto da acquistare per accedere; nello stesso complesso si trova pure l’edificio che ospita il Royal Ballet Theater e la statua dedicata all’ex re Sisavang Vong.

Museo del Palazzo Reale

Museo del Palazzo Reale

Royal Ballet Theatre

Royal Ballet Theatre

In onore dell'ex re Sisavang Vong

In onore dell’ex re Sisavang Vong

Detto ciò, veniamo ai templi: come ho già avuto modo di scrivere nella presentazione di poco fa, qui a Luang Prabang ce ne sono veramente un’infinità ed elencarli tutti sarebbe una follia per me ed una noi per chi legge. Preferisco fare una carrellata di immagini qui di seguito con le didascalie che aiuteranno a capire di cosa si sta parlando.

Wat Aham

Wat Aham

Wat Wisunarat - 1

Wat Wisunarat – 1

Wat Wisunarat - 2

Wat Wisunarat – 2

Wat Aphay

Wat Aphay

Wat Siphoutthabath - 1

Wat Siphoutthabath – 1

Wat Siphoutthabath - 2

Wat Siphoutthabath – 2

Wat Phaphay

Wat Phaphay

Wat Sensoukaram

Wat Sensoukaram

Wat Sop Sickharam

Wat Sop Sickharam

Wat Sibounheuang

Wat Sibounheuang

Wat Khili

Wat Khili

Wat Pak Khan Khammungkhun

Wat Pak Khan Khammungkhun

Wat Xieng Mouane

Wat Xieng Mouane

Haw Pha Bang - 1

Haw Pha Bang – 1

Haw Pha Bang - 2

Haw Pha Bang – 2

Wat Pa Huak

Wat Pa Huak

Wat Hosian Voravihane

Wat Hosian Voravihane

Wat Hua Xiang

Wat Hua Xiang

Wat That Luang - 1

Wat That Luang – 1

Wat That Luang - 2

Wat That Luang – 2

Ho avuto modo di passare due sere in città e posso dire senza paura di essere smentito che, quando cala il sole, le meraviglie continuano: tutto il centro storico si illumina più o meno come da noi sotto Natale, ma l’atmosfera è fatta ad arte per apparire più soft possibile; un’intera via si riempie di bancarelle per il mercato notturno ed i locali per mangiare e bere qualcosa (tantissimi e quindi mai strapieni) danno il meglio di loro ospitando i viaggiatori in ambienti semplici ma allo stesso tempo incredibili e, spesso e volentieri, proponendo offerte allettanti come quella di “due birre alla spina per 15.000 Lao Kip”…ovvero un regalone del quale non si può non approfittare. Nel mio girovagare anche senza mèta (quando si ha tempo a disposizione lo si può fare) ho selezionato minuziosamente un ristorantino bordo Mekong che, abbastanza fuori dal giro del mercato, mi ha regalato due cene di ottima qualità in compagnia di poche persone, al punto che ho lasciato entrambe le volte la mancia con sommo piacere. Salutare l’ultima sera è stato davvero doloroso perchè questa che ho trascorso qui è la vita che vorrei nei momenti di relax. Ma Luang Prabang non è solo questo (“solo” si fa per dire…): per una cifra irrisoria, cioè 50.000 Lao Kip, si può usufruire di un  passaggio andata e ritorno in minivan al Parco delle Cascate “Kuang Si” ed io non mi sono certo fatto pregare per prenotare; ci sono tre possibilità di partenza ogni giorno: 8:30, 11:30 e 13:30. Ho chiesto quale fosse il momento con meno affollamento e mi è stato risposto di primo mattino, così ho scelto la fascia oraria delle 8:30. La distanza di quest’area dalla città è di circa 30 kilometri; una volta sul posto si paga un ticket di ingresso di 20.000 Lao Kip e poi si è liberi di girare come si vuole. Avevo visto le foto su internet a casa ed ho atteso tantissimo l’attimo per poter vedere la meraviglia che mi aspetta con i miei occhi. Subito dopo il cancello si raggiunge un punto stupendo: si ha la possibilità di vedere un gruppo di orsi neri asiatici che sono stati salvati dai bracconieri e dal commercio illegale. Adesso sono qui, davanti a me, belli paciosi che dormono (gli adulti) e che giocano (i piccoli); come si fa a fargli del male??? Maledetti siano gli esseri umani dei quali mi vergogno di far parte!

Ingresso del Parco delle Cascate Kuang Si

Ingresso del Parco delle Cascate Kuang Si

Orso Nero Asiatico molto indaffarato

Orso Nero Asiatico molto indaffarato

Orsi Neri Asiatici in ozio totale

Orsi Neri Asiatici in ozio totale

Cuccioli di Orso Nero Asiatico che giocano

Cuccioli di Orso Nero Asiatico che giocano

Mi colpisce una cosa: una gabbia aperta da un lato è messa alla portata di tutti e, tramite un cartello in inglese, si legge più o meno così: “volete sapere cosa si prova a passare una vita in uno spazio come questo? Provate solo ad entrare e capitelo da soli”. Secondo me bisognerebbe infilarci a forza più di qualcuno in quella gabbia e moltiplicarla all’infinito fino a ficcarci tutti gli insensibili che appestano questo mondo. Mi duole lasciare la zona, ma ho solo un paio d’ore a disposizione e vorrei anche finire il giro. Ci vuole poco per raggiungere il fiume che, con colori pazzeschi, forma delle vasche e dà degli effetti talmente belli da provenire direttamente dal mondo dei sogni.

Cascate Kuang Si - 1

Cascate Kuang Si – 1

Cascate Kuang Si - 2

Cascate Kuang Si – 2

Cascate Kuang Si - 3

Cascate Kuang Si – 3

Cascate Kuang Si - 4

Cascate Kuang Si – 4

Cascate Kuang Si - 5

Cascate Kuang Si – 5

Cascate Kuang Si - 6

Cascate Kuang Si – 6

Come se non bastasse, in certi punti è permesso fare il bagno…ed ovviamente io non mi faccio trovare impreparato arrivando in costume e portando con me il telo per asciugarmi. Non entro subito perchè fà ancora fresco, per cui prima termino il tour arrivando, dopo una discreta salita, in cime alla cascata più alta e poi, tornato a terra, mi dedico all’attività ludica.

Un tratto della salita

Un tratto della salita

La vista dall'alto della cascata

La vista dall’alto della cascata

L’acqua è fredda e non posso negarlo, ma niente a che vedere con i tuffi nell’occhio blu albanese, per cui la definirei fattibile. E poi dopo poco ci si abitua. Ciò a cui non si fà l’abitudine è lo spettacolo che questo ambiente regala ed essere addirittura parte di esso (quindi non solo spettatore) è una soddisfazione doppia. Prima di andare via ripasso a salutare gli orsi neri e li trovo solo a dormire in una posizione diversa rispetto a prima. Poi finalmente qualcuno prima sbadiglia e poi si alza, così posso immortalarli come si deve.

Orsi Neri finalmente in piedi

Orsi Neri finalmente in piedi

Quando varco il cancello per tornare a Luang Prabang mi trovo di fronte una persona che conosco: è un mio contatto Facebook che vive qui, ha un ristorante e fa il tour leader. Lui non sa chi io sia perchè, anche se ci siamo scritti, fino ad oggi non ho pubblicato foto mie nè nel mio profilo nè nella pagina dedicata al mio blog. La voglia di salutarlo è tanta, ma mi devo fermare perchè lo vedo impegnato a sopportare un paio di turisti toscani davvero cacacazzi e non lo invidio per niente. Preferisco non disturbarlo dalla sua attività e mi reco al minivan che nel frattempo è arrivato. Alle ore 15:00 dell’ultimo giorno viene a prendermi l’ultimo Tuk Tuk, quello che mi accompagnerà all’aeroporto per 50.000 Lao Kip (ladro!!! Lo stesso prezzo dell’andata e ritorno alle Cascate “Kuang Si”, solo che con lui percorro solo poca strada). Alle 17:25 ho il volo per Bangkok Suvarnabhumi dove passerò gran parte della notte. Alle 5:00 del mattino deposito lo zaino al check-in e poi supero i controlli di sicurezza e passaporto; una volta di là da ogni barriera mi permetto una colazione con Muffin al cioccolato e Coca-Cola zero dopo dieci giorni in cui ho diligentemente proseguito la mia dieta ferrea: questo extra me lo sono proprio meritato! Alle 7:40 parte il volo Air Italy per Milano Malpensa e fortuna vuole che stavolta sia mezzo vuoto, così posso godere di nuovo di due posti tutti per me che uso per recuperare un po’ di energie dormendo beatamente e giocando al mio amato calcio manageriale come si deve. Puntuale prendo poi il Terravision per Milano Centrale (vado a mangiare qualcosa di leggero nel freddo meneghino) ed il Flixbus per Roma Tiburtina mi attende per le 22:00 in punto. Alle 6:00 sono nella capitale dove prendo la metro e vado a casa: in un’ora faccio una doccia più che necessaria, disfo tutto il bagaglio e corro in ufficio per riprendere i miei doveri fresco come una rosa dopo un viaggio indimenticabile.

La conclusione di questo lungo racconto è scontata: il Laos è un paese meraviglioso che viene relegato troppo nel ruolo di via di mezzo tra Cina, Vietnam, Birmania e Thailandia. Personalmente sono stato benissimo; la gente del posto non è molto espansiva, ma va assolutamente bene così per ciò che cerco e per quello che voglio. Non mi sono mai (e ripeto: MAI) nè trovato nè sentito in situazioni di pericolo. Nessuno mi ha mai guardato storto perchè avevo con me uno zaino da trekking con tutte le mie cose dentro. Come in tutto il Sud Est Asiatico, si mangia benissimo anche qui (e lo dico anche io che purtroppo ho potuto approfittare poco di questa caratteristica). Adesso faccio una piccola digressione su ciò che non ho visto: avendo a disposizione solo nove giorni netti ho dovuto per forza “tagliare” qualcosa; prima di farlo ci ho pensato benissimo e sono arrivato a questa conclusione: al sud ho saltato la zona delle “4000 isole”; dopo aver letto tanto sull’argomento ho intuito che si tratta di un’area dedicata per lo più all’ozio oppure, per i più giovani, ad attività che a me non piacciono. Sicuramente sarebbe stato bello poter osservare dall’alto il panorama che forma il Mekong, ma non essendo io un drone e dovendo stare a “piano strada” avrebbe perso molto del suo significato. Al centro del paese ho rinunciato alla Piana delle Giare: anche se ho letto commenti entusiasti da parte di tanta gente che ha visitato il sito, gironzolare per campi a vedere centinaia di giare in tutte le posizioni proprio non mi dice niente e soprattutto mi sembrava uno spreco doverci dedicare almeno un’intera giornata. Nel primo nord avrei voluto vedere il villaggio di Nong Khiaw ed ho anche provato a farlo, ma gli orari dei battelli sul fiume o dei pullman ed i tempi di percorrenza non me lo hanno proprio permesso. Quindi, in fondo, ritengo ancora oggi di aver fatto il giro più bello ed intenso che il tempo a mia disposizione mi ha permesso. I “puristi” avranno sicuramente notato che non ho scritto nulla a riguardo della processione quotidiana dei monaci che raccolgono le offerte: ebbene si, l’ho saltata volutamente perchè farmi trovare fuori dalla stanza alle 5:45 del mattino per vedere questa cosa insipida non mi ha dato la forza per alzarmi dal letto, ed io non sono uno di quelli che va svegliato con la forza quando c’è qualcosa di veramente interessante da fare/vedere. Il titolo del post parla chiaro: questa nazione è un mix di spiritualità (bellissimi templi buddhisti a non finire) e natura. Chi ha avuto la pazienza di leggere l’intero scritto, adesso sa di che cosa sto parlando. Stranamente durante l’intero periodo non ho mai avuto modo di orecchiare una canzone che facesse da filo conduttore al tour, cosa che invece mi è sempre capitata fino ad oggi. Sicuramente non sono mai stato nel posto giusto nel momento giusto, ma poco importa perchè quando ero in mezzo a cotanta bellezza suonavo nella mia testa un’altra stupenda melodia di Battiato e precisamente “Sentimiento Nuevo”…nel ritornello che recita testualmente “…Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo…”; Addio Laos, è stato bello far parte della tua vita.

 

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