Chiamatela Phuket, ma non Thailandia

di admin

Il titolo dice tutto. Questo non sarà il solito post in cui viene raccontato nel dettaglio il diario di una settimana di vacanza perchè…la destinazione non è mai stata del tutto desiderata e questo ha influito moltissimo sullo svolgimento dell’intero periodo. Anzi, sinceramente parlando, mi sono sempre imposto di non andare mai nella vita a Phuket se prima non avessi terminato tutto il resto delle destinazioni thailandesi; espressione che fa capire bene la mia avversione “a pelle” verso tale località. A dire il vero la prenotazione originale era indirizzata verso Koh Mak, piccolissima isola con davvero pochi resorts ed alberghi, zero banche, nessuno sportello bancomat ed uso delle carte di credito praticamente inesistente: un vero paradiso come lo intendo io; volevo quel luogo perchè cercavo il mare più autentico possibile che rispecchiasse le abitudini di questa nazione del sud-est asiatico, ma poi alcune (o “forse” troppe) difficoltà presentatesi nell’ultimo mese prima della partenza in termini di collegamento da Bangkok mi hanno convinto a lasciar perdere. Ho fatto male ed ho declassato le mie sudate e meritate ferie al livello di una”vivacchiata”. Ammetto l’errore perchè anche io sono un essere umano, ma posso affermare con estrema certezza che non si ripeterà più. Da ora in poi tornerò a dare ascolto solo ed esclusivamente al mio istinto senza sentire niente e nessuno. Sarebbe stato davvero meglio rischiare di perdere una notte da passare nella poco pittoresca località di  Trat nel caso in cui avessi perso l’ultimo traghetto giornaliero per l’isola che trascorrere una settimana in quello che definisco “occidente con troppi thailandesi in mezzo”. E’ proprio così: Phuket è una località prettamente turistica che somiglia a casa nostra; ad uno come me toglie davvero ogni voglia di vedere e scoprire. Troppa gente in spiaggia, troppa gente in giro, negozi dappertutto e ristoranti uno accanto all’altro a perdita d’occhio. Questa non è una vacanza secondo il mio punto di vista. E’ stato come restare in Italia, diciamo con l’affollamento del mese di luglio; la sola differenza l’ha fatta il Mare delle Andamane (davvero bello, questo non posso negarlo) ed il fatto che ai pasti ho mangiato qualcosa che da noi trovo solo nei ristoranti etnici. Per il resto, ripeto, Phuket è l’occidente e nei prossimi paragrafi proverò a spiegare il perchè di questa enorme delusione.

Partenza dall’Italia con un volo combinato della Qatar che si è rivelato perfetto in tutto: la puntualità è stata pazzesca. Gli aerei si trovavano già nell’area parcheggio ore prima dei vari decolli, quindi ritardi impossibili. Ripeto: tutto si è svolto negli orari previsti, sia lo scalo a Doha che l’arrivo a Bangkok che mi ha quasi spaventato: era infatti previsto per le 7:05 ed il velivolo ha toccato terra alle 7:06. Tanto di cappello per questa compagnia che non avevo mai testato sino a questo momento. Nel principale scalo della capitale thailandese, importantissimo snodo aeroportuale, c’è come sempre un caos pazzesco: gente ovunque che fa somigliare il dedalo di corridoi ad un enorme formicaio; la prima destinazione obbligata è l’affollatissimo controllo passaporti: quando le cose vanno bene partono almeno 30-40 minuti e la fila è un lunghissimo serpentone che sembra non terminare mai. Alla fine vengono apposti i soliti (ed inutili) timbri che mi spediscono direttamente al ritiro del bagaglio. Poverino…è già lì che sta girando senza mèta da chissà quanto tempo, ma non è certo colpa mia. Preso quello, il passo successivo è arrivare all’uscita n. 3: lì è già in attesa il bus che porta fino al secondo aeroporto di Bangkok, quello dei voli low cost. Tale navetta è gratuita per coloro che, come me, si presentano al banco con una carta di imbarco già in regola per un prossimo volo in partenza dal “Don Mueang”. Il traffico della capitale si fa sentire in qualunque ora del giorno, così serve almeno un’ora per arrivare. Sceso dal pullman mi reco subito ad un ufficio cambi (che applica un tasso da ladrocinio, ma niente di nuovo sotto al sole se si è dentro ad uno scalo aeroportuale) dove acquisto 10 euro in valuta locale (baht); subito dopo vado a comprare qualcosa da bere e da mangiare ad un “Seven Eleven” (supermercato locale) spendendo pochi centesimi. Mancano 3 ore al volo per Phuket e me la prendo comoda, se così si può dire quando si ha da badare ad un carrello con sopra un valigione da 20kg, un bagaglio a mano da 8 kg ed un effetto personale che non oso neanche quantificare. Per fortuna ho il mio tablet che ha la batteria quasi infinita, così il tempo passa via veloce. Qui si verifica l’unico ritardo aereo di tutto il tragitto tra andata e ritorno: l’Air Asia, per una tratta che si percorre in 80 minuti netti, pensa bene di farmi partire con venti minuti di ritardo; ma si tratta solo di una nota di colore che non fa alcuna differenza. E’ solo per far notare che voli a lungo raggio con durata di circa 6-7 ore partono ed arrivano puntuali come orologi svizzeri mentre una “carretta” (simpaticamente parlando, visto il paragone) che deve percorrere 1 ora e 20 minuti di tragitto si prende il lusso di posticipare la partenza. Arrivo al piccolo aeroporto di Phuket e cerco il modo per raggiungere l’hotel prenotato a Kata Beach, una zona a sud della conosciutissima e probabilmente iper-affollata Patong dalla quale mi tengo a debita distanza. Dopo circa un’ora eccomi alla destinazione finale di questo lungo viaggio di andata e trovo ad accogliermi il proprietario della struttura. Qui colgo l’occasione per fare il primo appunto all’isola: è veramente stracolma di italiani e, per chi legge i miei racconti, è noto che questa è una caratteristica nettamente negativa. Dico questo perchè dopo neanche due ore dalla prenotazione della camera ho ricevuto un’e-mail che recitava testualmente così: “Buongiorno, sono Mario. Sono il titolare dell’hotel che ha scelto per la sua vacanza a Phuket. Sono italiano e sarò lieto di darle tutte le informazioni di cui avrà bisogno”. Questo gesto è davvero cordiale, non ci sono dubbi. Ma l’idea di soggiornare in una sistemazione a migliaia di km da casa gestita da un italiano già ha smontato le mie poche aspettative prima di partire. Non ho potuto disdirla e cambiare tutto perchè il rapporto qualità/prezzo mi era congeniale; mandare all’aria qualcosa di buono per un capriccio non è da me, così ho fatto di necessità virtù. Comunque, col senno di poi, l’esperienza è stata positiva perchè tale Mario vive da 20 anni in Thailandia e si è rivelato molto amichevole, educato e simpatico. Nella positiva recensione scritta a favore della sua struttura ho fatto notare tutto questo. La stanza si rivela migliore del previsto: sono ampie sia la zona “letto” che il bagno. So che la pulizia viene fatta quotidianamente, per cui va benissimo così. Annessi alle stanze ci sono due ristoranti, sempre di proprietà di Mario: uno con cucina italiana (che non mi ha mai avuto come ospite) e l’altro con cucina thailandese dove ho trascorso almeno 3 serate. E’ ormai pomeriggio inoltrato quando prendo possesso delle chiavi, così mi metto a sistemare i bagagli nei vari spazi disponibili e poi esco in ricognizione con due obiettivi: il primo è dare un’iniziale occhiata al posto dove avrei avrei trascorso un’intera settimana; il secondo è acquistare i teli mare dopo aver gettato i precedenti nella spazzatura causa totale usura. Durante la passeggiata si fà luce un difetto del mio albergo: la descrizione sul sito informava che la distanza dalla spiaggia era di 5 minuti, ma non specificava che tale lasso temporale è corretto se si noleggia uno scooter; a piedi la tratta è di 15 minuti buoni se si cammina ad un discreto passo. Oltre a questo mi rendo conto del mercato a cielo aperto che è Phuket con tutta la serie infinita di negozi a perdita d’occhio. Grazie a questo riesco a trovare i teli mare che cercavo, ma come sempre la Thailandia si conferma economica solo per le cose da mangiare: la gente è furba ed ormai , anche se mi metto a trattare come da prassi locale consolidata, pago 8-9 euro al pezzo per una media qualità, cioè un prezzo tipicamente italiano. Cammino ancora un po’ mentre sopra la mia testa sta calando il sole; quando arrivo alla spiaggia vedo che anche a quell’ora c’è tanta gente e rabbrividisco all’idea del caos che avrei trovato il mattino seguente. La vista però è davvero meritevole: c’è una leggera perturbazione e delle onde degne di nota la fanno da padrone.

Onde a Kata Beach

Onde a Kata Beach

Fa caldo, ma essendo sera non è poi eccessivo e si sta bene. Le 24 ore di viaggio tra voli e scali iniziano a farsi sentire, così decido di andare a cena al ristorante thailandese vicino alla camera e poi in stanza, ovviamente collegandomi ad internet per lavorare. L’essere sempre connessi al giorno d’oggi ha una doppia faccia: positiva perchè si possono continuare a mantenere contatti e situazioni attive prima della partenza e non isolarle per dieci giorni come avveniva in passato; negativa perchè chi sà di questa possibilità…ti manda in ferie ma è facile che pretenda un “check” quotidiano dei doveri.

Detto questo, dal giorno “1” al giorno “8” effettivi (con l’esclusione del giorno “2”) la settimana passa tutta allo stesso modo, cioè sulla spiaggia di Kata. Come detto, la pochezza del luogo in termini di fascino non sprona la mia voglia di visitare altri luoghi ed altre spiagge; passo così l’intera vacanza svogliato come non mai, dedicandola al relax di fine anno, al sole ma anche all’ombra perchè la mia pelle chiara dopo poco si incavola e mi fa capire che sto esagerando quando le mie spalle si infuocano in maniera insopportabile. La crema solare aiuta, ma assolutamente non basta a queste latitudini. Le uniche pause delle monotone giornate sono quelle per i pasti; sono loro che spezzano la siesta al mare: ciò che mi piace si trova a poche centinaia di metri di distanza ed una passeggiata non fa mai male. Al mattino la colazione è composta da un paio di manghi freschissimi che la ragazza di una delle tante frutterie della zona sceglie e taglia con cura. All’ora di pranzo alterno un buon kebab di pollo ad un piatto di noodles con “seafood”, mentre le cene sono ben più pesanti e gustose essendo effettuate sempre seduto al ristorante dove me la cavo riempiendomi lo stomaco spendendo dai 7 ai 10 euro bevande incluse. Ripeto: per me questa non è una vacanza; lo considero più tempo sprecato…ma gli errori si pagano e stavolta è toccato a me. Devo solo accettarlo e subire.

Il giorno “2”, come già accennato, è fortunatamente diverso dagli altri. Organizzo un’escursione che avrei voluto fare anche nella precedente esperienza in Thailandia e che poi saltò perchè optai per altre mète: Phi Phi Island. Di primissima mattina (6:30 locali) avviene il pick-up davanti all’albergo con destinazione la “Royal Marina” di Phuket. Sarebbe il porto principale dell’isola, in parole poverissime, ma a loro piace chiamarlo così. Tanta gente (troppa gente…) sta già aspettando anche lì. Mi registro alla reception e mi attaccano alla maglietta un bollino rosso col numero 2: quando sarò chiamato dovrò unirmi al gruppo di sconosciuti che saranno i compagni di viaggio per quel giro. Si tratta di un tragitto abbastanza articolato che occuperà le successive ore fino alle 16:30 circa del pomeriggio. Poco prima delle 8:00 saliamo sulla barca e partiamo. La prima destinazione è la famosissima Maya Beach, la spiaggia in cui Leonardo di Caprio ha girato il film “The Beach”.

Maya Beach - 1

Maya Beach – 1

 

Maya Beach - 2

Maya Beach – 2

Da notare un particolare: mi hanno fatto svegliare all’alba proprio per arrivare in tutte le soste senza avere in mezzo la marea di turisti previsti durante il resto del giorno. Bene…arriviamo alla prima tappa che non sono neanche le 9:00 del mattino e già lì ci sono almeno altre 15 barche attraccate. C’è persino l’alta marea, per cui la spiaggia è quasi tutta “mangiata” dall’acqua. Morale della favola: almeno 200 persone stanno facendo il bagno, le foto ed una passeggiata in quel fazzoletto di sabbia. L’atmosfera di quel luogo così particolare dove è il verde a regnare è a dire poco fantastica, ma quella calca è uno schifo totale. Non pretendo certo di stare da solo a Maya Beach, ma quando mi dici che mi porti senza che ci sia troppo affollamento e poi mi trovo tutto questo mi prende anche male. Cerco di non pensarci e di non rovinarmi la giornata e scatto le mie istantanee, ovviamente deturpate in parte dalla moltitudine di turisti presenti. Mi godo anche un bagno in quello splendido mare quando trovo un momento in cui capisco di non dover fare a spallate con tutti i “vicini” di nuoto; giunge poi l’ora di risalire sulla barca. La tappa successiva è la visita di una grotta che ci fanno vedere per meno di un minuto rigorosamente dal natante senza alcuna possibilità nè di scendere nè di potervi entrare con la barca stessa. Tante belle parole per dirci che all’interno ci sono dei graffiti antichissimi…ma restano solo chiacchiere, questa è la verità.

La grotta (!?!). Dentro sarebbe forse stata bella...ma così proprio no.

La grotta (!?!). Dentro sarebbe forse stata bella…ma così proprio no.

Più avanti la sosta è sempre molto breve, ma più degna di quest’ultima. Già intravedo l’ennesima fregatura perchè ci portano sotto una roccia dicendoci che qualche volta si avvistano delle scimmiette; quel “qualche volta” l’ho già sentito in una miriade di occasioni (prima fra tutte l’avvistamento dei delfini in cui, dopo 30 minuti buoni, spunta solo dall’acqua una mezza pinna…), ma stavolta dopo pochi secondi arrivano due scimmiette, poi un’altra ed un’altra ancora. Alla fine se ne vedono ben 5 contemporaneamente e, lo giuro perchè ci ho fatto caso di proposito vista la mia bonaria malignità, si è stupìta anche la guida. Segno tale che la mia paura di andare via a mani vuote non era del tutto sbagliata.

Una scimmietta

Una scimmietta…

 

...e 4 scimmiette insieme

…e 4 scimmiette insieme

Fotografate le simpatiche scimmiette ci muoviamo di nuovo per una sosta di una ventina di minuti in una laguna in mezzo alle tipiche rocce che fuoriescono impetuose dal mare della Thailandia.

Laguna

Laguna

L’occasione è ghiotta per un tuffo come si deve dal pontile della barca e per una bella nuotata, ma niente di più. Provo a guardare “sotto” il pelo dell’acqua usando la maschera ma non c’è l’ombra nè di pesci nè di coralli; niente di niente. Ma la sosta per lo snorkeling “come si deve” (!?!) è prevista poco dopo. Ci fermiamo e ci danno 40 minuti per poter ammirare le “bellezze sottomarine”. La verità ? A parte qualche pesce di color giallo oro, ciò che si vede è quasi pura spazzatura. Non c’è nulla degno di nota per chi, come me, ha già visto le barriere coralline del Mar Rosso e delle Maldive. Alle 11:30 precise, credo in netto anticipo, nuova partenza con destinazione la famosa lingua di terra di Phi Phi Island che ha il mare da ambo i lati (si vede in ogni cartolina della zona). Lì è previsto il pranzo a buffet che consumo usando un coupon precedentemente consegnato a tutti dalla guida del tour. La qualità del cibo è tipica di quella di tutte le escursioni di questo genere: senza infamia e senza lode. Phi Phi Island è esattamente come Phuket: negozi, ristoranti ed hotels fanno da corollario al porticciolo dove decine di barche di turisti vi sono attraccate. Arrivare alle 11:40 per il pranzo, quindi prestissimo, non ha dato anche in questo caso i risultati sperati in termini di numero di visitsatori già presenti. Comunque sia, questo posto non posso certo definirlo comune, però mi permetto anche di dire che me lo aspettavo diverso e migliore. E’ prevista circa un’ora di sosta e, verso le 14:00, nuova partenza per l’ultima destinazione della giornata: Bamboo Island.

Bamboo Island - 1

Bamboo Island – 1

 

Bamboo Island - 2

Bamboo Island – 2

A differenza di Maya Beach, qui c’è bassissima marea e ci sono coralli morti sparsi su tutta la spiaggia. La guida ci spiega che il nome del posto è dovuto al tantissimo bamboo presente in passato fin sulla riva, poi ovviamente tagliato dalla mano dell’uomo; adesso il bamboo lo si trova solo al centro della foresta alla quale noi turisti non possiamo accedere (bella fregatura…). Caliamo un altro velo pietoso e ci godiamo gli 80 minuti messi a disposizione post-pranzo per nuotare, prendere un po’ di sole che qui sta picchiando davvero forte e per scattare fotografie. Giunta l’ora “X” saliamo tutti salla barca e, in circa 60 minuti torniamo alla “Royal Marina” di Phuket; da lì poi un’automobile mi riporta all’hotel. Termino la giornata, non ancora sazio del mare, alla spiaggia di Kata per altri bagni in mezzo alle onde e poi a cena con la consueta abbuffata a pochi euro di controvalore. Purtroppo, anche se ho visto luoghi degni di nota, l’escursione si è rivelata uguale a moltissime altre: tra le più commerciali che io abbia mai fatto. Altro elemento che mi conferma che questo spicchio di Thailandia non c’entra niente con la nazione della quale fa parte.

Il viaggio di ritorno verso casa è stato pressochè perfetto; persino l’Air Asia si è degnata di portarmi a Bangkok in orario. Poi la qualità della Qatar ha fatto il resto e sono atterrato in Italia dopo ore ed ore di sonno beato addirittura con 30 minuti di anticipo rispetto al previsto, cosa che mi ha permesso di cambiare all’ultimo momento il biglietto del bus che avrebbe dovuto riportarmi a casa con un altro in partenza 4 ore prima di quello precedentemente prenotato (per non rischiare in caso di ritardi occorre sempre prendere del tempo congruo tra un servizio di trasporto e l’altro).

Dopo questo brevissimo riassunto degli 8 giorni trascorsi in loco, proseguo le ragioni che mi fanno (purtroppo) quasi odiare Phuket. Avendo già parlato qualche paragrafo fa della presenza di troppi turisti e di italiani in particolare come punto numero uno, vado avanti partendo dal numero due:

2) Quasi due anni fa, a Koh Lanta, mi divertivo la sera a farmi portare dall’albergo fino al centro del paesino e viceversa con i Tuk Tuk, i motorini “carrozzati” che per pochi Baht evitavano di percorrere a piedi i circa due km di distanza che separavano i due luoghi. A Phuket non c’è niente di tutto questo. Ci sono solo i taxi: macchine comuni come le conosciamo noi in Italia oppure furgoncini addobbati all’inverosimile con luci stroboscopiche all’interno e musica a tutto volume sparata da casse super professionali. Un obrobrio nel vero senso della parola. In più si tratta di mezzi ovviamente cari se rapportati sia al costo della vita che alle tratte da percorrere.

3) Il Surf Bar. Questo merita un punto a parte. Si tratta di un bar/punto di ristoro proprio sulla spiaggia di Kata. Davanti ai tavoli sui quali i clienti gustano le loro consumazioni c’è una specie di piscina nella quale, grazie ad un getto d’acqua sparato ad alta velocità, è possibile stare in piedi su una tavola da surf; i principianti possono provare stando “attaccati” all’istruttore con una corda che viene lasciata sempre più morbida in funzione dell’acquisita esperienza. Una budinata del genere è difficile da vedere e soprattutto non me la sarei mai aspettata in Thailandia, ma qui a Phuket c’è. No comment…

4) Assenza quasi totale dei mezzi pubblici. Tra una spiaggia ed un’altra non si può assolutamente andare in autonomia con il trasporto locale. Il motivo è semplice ma agghiacciante allo stesso tempo e viene giustificato con una normalità che fa rabbrividire: “c’è la mafia dei taxi e per questo non ci sono autobus che percorrono tali tragitti”. Gli unici bus presenti a Kata arrivano al massimo fino alla spiaggia di Karon, quella immediatamente a nord; assolutamente non oltre. Poi la destinazione finale di ogni mezzo disponibile è sempre Phuket Town. Volendo cambiare spiaggia senza taxi occorre arrivare prima a Phuket Town e poi prendere un altro autobus; ciò comporta, dati i tempi di percorrenza, la possibile ed inaccettabile perdita di ore ed ore. Ma porca miseria, si vuole fare qualcosa per sbaragliare questo sistema nel 2017 si o no ? Secondo l’uso attuale devo per forza affittare uno scooter oppure andare in taxi perchè “qualcuno” non vuole la presenza dei mezzi pubblici. Conosco persone che con i mezzi locali ci hanno fatto tours di intere nazioni, ma qui a Phuket questo non si può fare perchè “qualcuno” non vuole. Davvero complimenti alle istituzioni che si fanno mettere i piedi in testa da chissà chi o, peggio ancora, che si lasciano corrompere dai tassisti. Questa è stata una delle ragioni per la quale non mi sono mosso da Kata. Sinceramente non mi abbasso a farmi comandare da nessuno, tantomeno da chi guida i taxi. Se lo prendo è solo perchè lo voglio fare, ma non esiste che non ci sia un’alternativa valida.

Mi sembra che tutto questo sia abbastanza per non ritenermi contento della destinazione. Un plauso voglio dedicarlo alla popolazione di questa isola: nel dicembre del 2004 fu colpita da un violentissimo tsunami che allagò e distrusse praticamente tutto provocando migliaia di morti. Grazie a youtube ho visto tantissime immagini di repertorio che mi hanno lasciato inorridito data la potenza distruttrice dell’acqua che si è abbattuta sulla costa ed il solo pensiero di essere stato lì tranquillo e beato a prendere il sole mi ha dato sensazioni strane. Oggi posso dire che di quell’evento catastrofico non è rimasto nulla, la vita scorre tranquilla ed il turismo c’è ed anche tanto. Tutti i sopravvissuti si sono rimboccati le maniche ed hanno dato il loro determinante contributo.  Nel nostro paese, che ricordo far parte del G8 (!?!), quando ci sono eventi naturali di questo tipo servono altro che 12 anni per rimettere tutto in sesto…

Lascio per ultima una nota davvero importante: tutta la Thailandia (per cui anche l’extratrerrestre Phuket) è stata scossa dalla morte di Re Bhumibol Adulyadej, deceduto il 13 ottobre 2016 all’età di 88 anni e conosciuto come il più longevo monarca del pianeta. Ovviamente la notizia non è solo una pura nota di cronaca; tutti i thailandesi lo adoravano e la scomparsa ha generato il pianto del suo intero popolo. Scuole ed edifici governativi sono rimasti chiusi per un mese ed è stato proclamato un anno intero di lutto nazionale in sua memoria. In ogni angolo della nazione sono state messe gigantografie e foto di Re Buhmibol accompagnate da nastri intrecciati di colore bianco e nero per ricordare sia questo triste evento sia ciò che di buono ha fatto il monarca durante il suo regno. Un enorme grazie dato dalla popolazione alla guida che non c’è più. Questa notizia non ci tocca direttamente, ma posso garantire che vedere una tale devozione ed un tale attaccamento ad un uomo mi ha davvero colpito. Noi italiani siamo abituati ad odiare i nostri governanti, non proprio ad amarli; se lo facciamo ci sarà ben più di un motivo valido e la cosa è deprimente. Se questo Re ha ricevuto così tanti consensi e la sua morte è stata pianta proprio da tutti, significa che ha fatto davvero del bene. Per questo motivo non importa se questa persona era thailandese, italiana, americana o di altra nazionalità. Voglio ricordarlo anch’io pubblicando una delle foto usate dai suoi stessi sudditi.

Re Bhumibol

Re Bhumibol Adulyadej

Visitate tutti la Thailandia e fatelo più di una volta, sia al mare che in tour alla scoperta delle sue bellezze storiche, religiose e naturali; ma lasciate perdere Phuket. E’ uno di quei posti insulsi che lasciano l’amaro in bocca. Se proprio cercate qualcosa del genere…restate nel “mare nostrum”. Questo è il mio personale consiglio.

 

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